L'occasione di effettuare la traversata si è presentata lo scorso mese di luglio, quando con Andrea S. abbiamo passato una settimana in Val d'Aosta. La traversata può essere effettuata nei due sensi. Noi l'abbiamo effettuata da est verso ovest. Partiti la notte dal rifugio Città di Mantova abbiamo attraversato il colle del Lys e attaccato la crepacciata terminale dell'anticima poco prima dell'alba. Dopo aver attraversato il Lyskamm Orientale siamo giunti alla sella del Lyskamm (4417 m), che rappresenta il punto più basso tra le due vette. Qui occorre attraversare un tratto particolarmente affilato e pericoloso per le cornici. Purtroppo apprendiamo che pochi istanti prima due alpinisti torinesi sono caduti nel vuoto. In breve tempo arriva l'elicottero e una guida segnala con la piccozza il punto in cui i due sono caduti. Siamo profondamente colpiti ma non possiamo fare altro che affrontare la cresta e continuare il nostro percorso fino al rifugio Sella, dove arriviamo nel primo pomeriggio. Per effettuare la traversata da rifugio a rifugio abbiamo impiegato otto ore. La traversata non è particolarmente difficile dal punto di vista tecnico, infatti è classificata AD (abbastanza difficile) ma è molto insidiosa perché si svolge su cornici e creste molto affilate e non si possono commettere errori. Inoltre si effettua legati di conserva quindi in condizioni di sicurezza relative.
La prima volta che sono salito sul Monte Rosa per raggiungere la capanna Margherita a Punta Gnifetti, ero rimasto colpito dall'elegante linea di cresta dei Lyskamm. Non a caso questa traversata è tra le più famose dell'intero arco alpino. Si svolge in un ambiente grandioso e offre vedute incredibilmente ampie. L'occasione di effettuare la traversata si è presentata lo scorso mese di luglio, quando con Andrea S. abbiamo passato una settimana in Val d'Aosta. La traversata può essere effettuata nei due sensi. Noi l'abbiamo effettuata da est verso ovest. Partiti la notte dal rifugio Città di Mantova abbiamo attraversato il colle del Lys e attaccato la crepacciata terminale dell'anticima poco prima dell'alba. Dopo aver attraversato il Lyskamm Orientale siamo giunti alla sella del Lyskamm (4417 m), che rappresenta il punto più basso tra le due vette. Qui occorre attraversare un tratto particolarmente affilato e pericoloso per le cornici. Purtroppo apprendiamo che pochi istanti prima due alpinisti torinesi sono caduti nel vuoto. In breve tempo arriva l'elicottero e una guida segnala con la piccozza il punto in cui i due sono caduti. Siamo profondamente colpiti ma non possiamo fare altro che affrontare la cresta e continuare il nostro percorso fino al rifugio Sella, dove arriviamo nel primo pomeriggio. Per effettuare la traversata da rifugio a rifugio abbiamo impiegato otto ore. La traversata non è particolarmente difficile dal punto di vista tecnico, infatti è classificata AD (abbastanza difficile) ma è molto insidiosa perché si svolge su cornici e creste molto affilate e non si possono commettere errori. Inoltre si effettua legati di conserva quindi in condizioni di sicurezza relative.
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Facciamo base a Chamonix con una settimana a disposizione e l'idea di salire il Monte Bianco passando per la via normale Francese. Ma appena arrivati ci rendiamo conto dei problemi logistici. Il Rifugio Gouter è strapieno. Ci dicono che ci sono prenotazioni per tre mesi. Si potrebbe passare la notte nell'ingresso del rifugio, ma ha fama di non essere un posto molto pulito, a causa del mal di montagna che colpisce molti alpinisti, per il forte dislivello che occorre superare per arrivare fin li. Comunque il tempo è pessimo e il problema di salire sulla vetta del Bianco non si pone. Saliamo all'Aiguille du Midi ma non riusciamo nemmeno a scendere sul ghiacciaio sottostante. Usciti dal tunnel ci dobbiamo ritirare a causa dei fulmini che colpiscono le strutture metalliche intorno alla crestina di discesa. Il giorno dopo va un po meglio e riusciamo a scendere sul ghiacciaio. Ci dirigiamo verso il Tacul per verificare le condizioni della via dei Trois: l'altra normale francese che passa per il Tacul, il Maudit per poi arrivare alla vetta del Bianco. Ma il Tacul è molto pericoloso. I suoi seracchi sono carichi di neve e il rischio di valanghe molto alto. Lo conosco già per esserci salito due anni prima ma le condizioni allora erano decisamente migliori. Nei giorni successivi il tempo non migliora, ma ci sarebbe una finestra per giovedì 10 luglio. Mercoledì ci spostiamo sul versante italiano, al Rifugio Torino. Il giorno successivo sveglia alle 3.00 e partenza per il Dente del Gigante, una classica via alpina su roccia. Avrei preferito il ghiaccio del Bianco, ma anche salire il Dente del Gigante è una bella opportunità. Ci inerpichiamo sulla Gengiva del Dente senza problemi, ma l'attacco della via è piuttosto difficile, soprattutto per la forte esposizione. Comunque riusciamo a passare soprattutto grazie a Giampiero che attacca per primo. La via non è particolarmente difficile ma la discesa in corda doppia è stata piuttosto adrenalinica!
Nevado Alpamayo south face
A couple of years earlier I went in Valsesia in the north of Italy, to meet Donato and other friends with whom I had climbed one particular mountain in the Karakorum (see post about Trekking del Baltoro e Pastore Peak). While not considering myself a mountaineer, there I was able to achieve a complete first ascent of a mountain of 6,200 m. It was a mountain like so many others in Karakorum, without a name, but is called the Shepherd Peak today. In his beautiful home, Donato had hung a series of photos of the many mountains he had climbed including Nevado Alpamayo. I was very impressed by the beauty of this mountain and since that moment I was determined to climb and photograph it. A detail of Alpamayo french direct Not a year was passed when a friend from Chieti, a climbing guide, told me he was organizing an amazing expedition to climb the Alpamayo. I have had an experience of high altitude but I had never climbed a wall of ice 500 meters high, with slopes of 60% that in some places reaches 70%, but my desire to see and to photograph the Alpamayo was so strong it convinced me to join this group that intended to climb it! The Cordillera Blanca is a mountain range with 50 peaks over 5.700 meters which is located in the northern part of the Andes, in the Huascaran National Park. Santa Cruz valley To get to the advanced base camp of Nevado Alpamayo / Quitaraju we had to reach first the city of Huaraz, the starting point of all expeditions to the Cordillera. We then travelled by car to Cashapampa where we hiked through the beautiful valley of Santa Cruz. In order to reach an altitude of almost 6,000 meters we had to climb gradually to get used to the altitude. Overall it took 7 days to climb up to the advanced base camp. As we were ascending, we meet several mountaineers coming back without being able to reach the top because of bad weather conditions. Of course I had the same concern, but I needed good weather to take my photos! Wall of ice on the way to the advanced camp Fortunally when we start to climb to the advanced base camp, the weather miraculously improved. I have to tell you that to get to the advanced base camp is not easy. You must get beyond about the 500 meters that separate the advanced camp from the moraine camp. The path is full of deep crevasses and you have also to climb a wall of ice about 100 meters high. The nice thing is that you will probably find a fixed rope. From the camp you can enjoy an incredible view on Nevados Alpamayo, Quitaraju and Artesonraju. A view that rewards the efforts you have made so far. You need to spend a whole day at the camp to experience the amazing light it presents. The Alpamayo south west face is well lit from afternoon to evening, while the Quitaraju noth faces receives a good light in the morning, but also in the evening can be really interesting. "Here comes the sun", Nevado Quitaraju "Here Comes the Sun" was taken just before sunset. The low sun partly covered by the clouds was scattering the light, giving them a yellow-reddish color, while the rest of the north wall of the mountain was coming into the shadows. It was one of the easier photos I took because at that time temperature was not too stiff, while the shots I took in the morning of Nevado Artesonraju ("The thin red line") was very hard to take. I had to wake up at 4 AM and it was -20 ° C, The worst was having to get out from the warm sleeping bag. But I was pushed by the awareness that I had no other opportunity. The next morning we had to leave at 2 am to start the climb. To get "Here comes the sun" I tried to advance to the edge of the camp but I had to pay attention because of the invisible crevasses all around. I remember that I had tried to go as far as possible, to remove the slope visible in the left side of the image. To advance more it would have been too dangerous because the area was full of crevasses hidden by fresh snow had fallen the day before. I then placed the camera on a lightweight inexpensive tripod I brought with me, trying to plant it very well in the frozen snow. I used AEB function to be sure to have a shot definitely well exposed and reserve the possibility of an HDR, since it was a backlit. The next day we climbed that magnificent mountain. I brought with me a compact digital camera but I left the batteries in the pocket of the sleeping bag where I put them the night before to prevent discharge. Among the many things I had to take I just forgot them! Too bad! Along the way I had the opportunity to take some beautiful shots. Lost shots I'll never take again. _Tutto ha inizio una mattina d'inverno sul Sirente quando, durante un'uscita sci-alpinistica incontro Elettra che mi parla del progetto di un trekking in Pakistan lungo il ghiacciaio del Baltoro, con la possibilità di salire un 6.000m mai scalato prima. Da un po di tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto vedere il K2 e quindi dopo qualche giorno di riflessione prendo contatto con Martino Moretti di Lyskamm 4000 e mi unisco al gruppo. Martino è un veterano del K2 che ha scalato nel 1986 con una spedizione diretta da Agostino da Polenza. _16-17 giugno: Italia-Islamabad L'appuntamento con gli altri è a Londra il 16 giugno, dove un volo della British Airway ci porta diretti ad Islamabad. Arriviamo alle 6.00 locali del 17 giugno. Alloggiamo all'Holiday Inn dove abbiamo il piacere di gustare una delle migliori cucine del mondo! In giornata ci rechiamo dal boss di Hunza Travel, la nostra agenzia locale, e poi al Ministero del Turismo per ottenere i permessi necessari. _18 giugno: Islamabad-Chilas (470 km - 12h) L'agenzia ci ha messo a disposizione un pulmino con il quale ci dirigiamo verso il Kashmir, attraverso la mitica Karakoram Highway che collega la Cina con il Pakistan. Nonostante il nome la KKH non somiglia per niente un autostrada. In serata arriviamo a Chilas. E' la parte più agevole del percorso. A parte il pericolo di frane, la strada è ancora abbastanza larga, ben manutenuta e quasi sempre asfaltata. 19 giugno: Chilas - Skardu (290 km - 8h) Da Chilas a Skardu la KKH diventa decisamente più pericolosa, ma il paesaggio si fa più interessante. La strada taglia i fianchi delle montagne in fondo alle quali scorre l'Indo, costeggia il maestoso Nanga Parbat (8125 metri, che purtroppo al nostro passaggio è coperto da una densa coltre di nuvole) e passa nel punto di confluenza delle tre grandi catene montuose dell'area: Himalaya, Karakorum e Indu Kush. Skardu, la capitale del Baltistan, sorge nell'amplissima valle in cui l'Indo incrocia lo Shigar. E' una cittadina polverosa, circondata di montagne innevate, tappa obbligata per tutte le spedizione che si dirigono verso l'area del K2, ma anche per gli appassionati di minerali che abbondano nella zona. Skardu è una città multietnica popolata in gran parte da tibetani Baltì ma anche da altri gruppi etnici: Shins, Pashtun, Punjab, Hunza e Uiguri. La città è sovraffollata di bazar dove si può trovare di tutto. _20 giugno: Skardu - Askole (2800m - 7h) Proseguiamo in jeep verso Askole attraversando la valle di Shigar. Il percorso, da brivido, si svolge lungo una sterrata, tagliata su ripidissimi pendii dai quali si staccano in continuazione piccoli sassi che cadono sul tetto del fuoristrada. Il distacco di un masso più grande potrebbe farci precipitare nel Braldu, il tumultuoso fiume che scorre più in basso. Come se non bastasse, sentiamo numerose esplosioni. Ci spiegano che sono mine fatte brillare dai cercatori di minerali e di pietre preziose. Del villaggio di Askole colpiscono l'estrema povertà degli abitanti. Le abitazioni, in genere di due piani, sono costruite con pietre, fango e paglia. Il piano in basso è destinato agli animali mentre gli uomini occupano il piano superiore. Da alcuni anni un associazione italiana, dedicata all'alpinista Lorenzo Mazzoleni, ha realizzato un dispensario per offrire agli abitanti di Askole un minimo di cure mediche. _21 giugno: Askole - Jula (3200 metri - 7h) Lasciamo Askole risalendo il corso del Braldu e arriviamo a Jula 7 ore più tardi. Durante il giorno fa molto caldo, l'ambiente è quello di un deserto roccioso di alta quota. A Jula ci godiamo la vista del caratteristico Bahordas peak e del Mango Gusor. La notte è fredda ma soprattutto diventa difficile dormire a causa della quota. 22 giugno: Jula - Payù (3500 metri) Altre 7 ore di cammino costeggiando il Braldu per giungere all'oasi di Payù dove troviamo gli ultimi alberi della valle. Nel passato le spedizioni che risalivano la valle hanno utilizzato gli alberi come legna da ardere per cucinare, fino alla loro totale scomparsa. Questa pratica è stata successivamente vietata ma a quel punto gli alberi erano già del tutto scomparsi. Per cucinare oggi le spedizioni portano con se il kerosene. L'impatto dell'uomo in questi luoghi, caratterizzati da un delicatissimo equilibrio ambientale è devastante. Proprio per ridurre l'impatto antropico a Jula, Payù e Urdukas i campi sono stati attrezzati con servizi igienici, acqua corrente, lavabi e raccoglitori di rifiuti. A Payù trascorriamo una giornata di riposo per favorire l'acclimatazione. Da qui si vede molto bene il fronte del ghiacciaio del Baltoro, che inizia qualche centinaio di metri più avanti e le Cattedrali del Baltoro. Tra le guglie acuminate delle cattedrali, Martino ci indica un picco che emerge in lontananza. E' la nostra prima visione del K2. _24 giugno: Payù - Urdukas (4050 metri) (20 km 10 h) E' una lunga tappa che si svolge sul ghiacciaio detritico del Baltoro. Il campo di Urdukas sorge su un pendio erboso disseminato di enormi massi granitici. 25 giugno: Urdukas - Gore (4500 metri) (5h) Ormai siamo in alto e iniziamo a vedere montagne imponenti come il Masherbrum (7821 metri) e la Mustagh Tower (7237 metri), mentre di fronte a noi sorge la sagoma del mitico Gasherbrum IV, conquistato nel 1958 da una spedizione italiana guidata da Riccardo Cassin e che venne magistralmente descritta da Fosco Maraini nel suo romanzo "La splendida cima".Tutto bellissimo, ma sono cinque notti che non dormo! 26 giugno: Gore - Concordia (4750 metri - 5 h) Giungiamo a Concordia dopo una breve tappa di 5 ore. Da qui la vista si apre sulle catene di montagne circostanti. E' una visione di incomparabile e maestosa bellezza: il Gasherbrum IV (7980 metri), più a sinistra il gigantesco Broad Peak (8048 metri) e poi in fondo al ghiacciaio Godwin Austen, il K2 (8611 metri). Sulla destra il Golden Throne, il Chogolisa (7665 ) con le sue cime affilate in cui perse la vita il grande Herman Buhl e poi il il caratteristico Mitre Peak. In questo luogo mitico e bellissimo i segni del degrado causato dall'uomo sono evidenti. Oggi le spedizioni prestano molta attenzione a non lasciare rifiuti di nessun genere ma, nonostante ciò, siamo circondati dai rifiuti, in particolare di tipo "organico". In questo clima freddo, infatti, i processi di decomposizione sono lentissimi e i rifiuti, anche organici, necessitano di anni per essere smaltiti. 27 giugno: Concordia - Campo Khalkhal glacier (4900 metri) Il tempo si è mantenuto sempre bellissimo e al mattino ci dirigiamo verso il ghiacciaio Khalkhal dove stabiliamo il campo base per la salita al Pastore Peak (6206m). 28 giugno: Salita al Pastore Peak (6206 metri) Ci svegliamo alle 2 di notte, consumiamo una rapida colazione e ci avviamo lungo il ghiacciaio, fino alla morena di massi giganti superando la quale ci portiamo sulla linea di cresta. E' ormai giorno inoltrato quando arriviamo sul colle a quota 5.900m. Da qui ci appare uno scorcio fantastico del K2 e dell'Angelus. Ci riorganizziamo e due cordate si avviano verso la cima. Purtroppo per problemi legati all'altitudine e alla stanchezza la mia cordata si dissolve e in due riusciamo ad arrivare fino a 6.100 m. A questo punto anche l'altro compagno di cordata cede si accascia in mezzo alla neve. Anch'io sono allo stremo, nell'ultima settimana non ho dormito quasi mai, la stanchezza è tremenda. Devo decidere cosa fare. Potrei tentare di proseguire da solo, in fine dei conti mancano solo 100 m di dislivello, forse un'ora di salita. Guardo l'altra cordata che si è già avviata verso la cima. Mi trovo su una lama di ghiaccio affilata e a sinistra c'è il baratro ghiacciato, a destra un ripido scivolo di neve porta ad un enorme seracco dopo il quale c'è un salto di circa 600 m. Una scivolata sarebbe fatale. Però mi dispiace rinunciare alla vetta dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin qui. Alla fine decido di scendere verso il colle dove sono rimasti Elettra, Luisa e Valter. La delusione è tanta ma penso che sia stata la scelta più saggia. Attendiamo il ritorno dei compagni che sono riusciti a salire fino alla vetta e poi scendiamo tutti insieme. Il calore del sole ha reso la neve insidiosa, a volte sprofondiamo fino al collo, ma per fortuna riusciamo a raggiungere la morena senza problemi. Arriviamo al campo verso il tramonto, siamo distrutti. Ci prendiamo il giorno seguente per riprenderci dalla fatica. 30- Giugno- 1 luglio: Khalkhal glacier - Campo base K2 - Concordia Dopo una settimana di tempo splendido ci svegliamo sotto una forte nevicata. Dopo qualche ora le condizioni meteo migliorano leggermente e decidiamo di raggiungere il campo base del K2 come da programma. Ormai le belle giornate dei giorni precedenti sono solo un ricordo. Le mie condizioni fisiche non sono per niente buone. Sono attraversato da brividi di freddo, ho la fronte bollente. Sicuramente ho la febbre. Improvvisamente sprofondo in un crepaccio reso invisibile dalla nevicata notturna. Per fortuna è abbastanza stretto e lo zaino ferma la caduta. Arrivati al campo base siamo ospitati dalla spedizione ufficiale polacca che sta tentando di salire il K2. Martino e la responsabile polacca, anch'essa una veterana, rievocano le passate imprese sul K2. Lasciamo il Campo Base del K2 e con una lunga ed estenuante marcia facciamo ritorno verso Concordia. Siamo esausti, per niente lucidi e ci perdiamo tra le colline di ghiaccio che circondano Concordia. Dopo vari tentativi falliti che alimentano il nervosismo generale, finalmente scorgiamo i portatori che sono venuti a recuperaci. Ci prendiamo un giorno di riposo, più che meritato assolutamente necessario. Il tempo ormai è definitivamente peggiorato e dobbiamo decidere se procedere verso il passo del Gondoghoro La oppure ripetere il percorso dell'andata. Alla fine, nonostante il tempo, decidiamo di attraversare il Gondoghoro La. Nel frattempo ci ha raggiunti Ali, la guida Baltì che ci accompagnerà fino ad Hushe. 2 luglio: Concordia - Ali Camp (4600 metri) Alle 4 del mattino lasciamo Concordia e percorriamo il ghiacciaio Vigne per raggiungere Ali Camp dove arriviamo intorno alle 10. Dopo un rapido pasto consumato sotto una forte nevicata, piazziamo le tende e cerchiamo di dormire. Sotto la neve c'è tanta di quella neve fresca che si sprofonda. Praticamente mi metto a dormire dentro una buca. Sarà si e no l'una p.m. Verso sera smontiamo il campo e alle 11,30, dopo aver organizzato le cordate, iniziamo a incamminarci verso l'ampio anfiteatro glaciale che occorre attraversare per raggiungere il Gondoghoro La. 3 luglio: Ali Camp - Gondoghoro La (5650 metri) - Khispang (4500 metri) Siamo accompagnati dal Rescue Team, un gruppo di alpinisti pakistani che ha l'incarico di guidare le spedizioni attraverso il Gondoghoro La. La neve, caduta abbondante durante il giorno, e la nebbia rendono veramente difficile l'orientamento anche per il Rescue Team. Infatti vaghiamo senza meta attraverso la nebbia fino a che, le prime luci del giorno, lasciano intravedere la sagoma della montagna sulla nostra destra. Sono ormai le 4 del mattino quando iniziamo a procedere tra i seracchi. In alcuni punti alcune corde fisse rendono più sicura la salita. Quando arriviamo sul Gondoghoro La a 5.650 m sono le 6,30 e la bufera di neve imperversa. La visibilità è di qualche metro. La discesa è molto ripida e le corde fisse sono a tratti coperte dalla neve. Diverse slavine attraversano il nostro passaggio. Siamo immersi nella nebbia.I portatori, spaventati, abbandonano buona parte del bagaglio, tra cui la cucina da campo e il sacco di Donato, ma di questo ci accorgeremo solo più tardi, una volta arrivati a Khispang. Quando arriviamo al campo siamo veramente distrutti ma nonostante ciò, Martino e Donato decidono eroicamente di ritornare indietro nel tentativo di recuperare qualcosa. Torneranno diverse ore più tardi ma senza successo. Le slavine hanno ricoperto tutto. Oltre alla cucina da campo mancano alcuni sacchi a pelo e una tenda. Ci adattiamo a passare la notte con quello che abbiamo. 4 luglio: Khispang - Dalzampa (4300 metri) - Shayechu (3600 metri) Dato il persistere del cattivo tempo, affrettiamo il rientro unendo due tappe. Puntiamo a raggiungere Skardu un giorno prima del previsto. Lasciamo Khispang verso le 9,30. Nel primo tratto si scende rapidamente lungo la morena glaciale, con una stupenda vista sui ghiacciai del Masherbrum (7821 metri); poi si attraversa una splendida valle ricca di cedri, tamerici e rose canine, incrociando i sentieri che conducono ai campi base del K6 e del K7. Arriviamo al campo di Shayechu in ordine sparso tra le 16 e le 17. 5 luglio Shayechu - Hushe (3200 metri) - Skardu L'ultimo tratto di trekking segue la rive del fiume tra campi verdissimi e minuscoli villaggi fino ad arrivare ad Hushe. Qui ci rechiamo alla scuola dove lasciamo un po di materiale che abbiamo portato dall'Italia. Al dispensario lasciamo le medicine che ci sono rimaste, cercando di spiegarne l'utilizzo. Dopo la cerimonia del pagamento dei portatori, raggiungiamo Skardu con i fuoristrada che ci attendono dopo la frana che da alcuni anni isola il villaggio di Hushe. 6 luglio: Skardu
Una giornata di riposo ampiamente necessaria. Tra l'altro accuso un problema di ritenzione idrica. Ho le caviglie gonfie come quelle di un elefante. Due pasticche di Lasix e una giornata passata ad urinare risolvono il problema. 7-8 luglio: Skardu - Chilas - Islamabad A causa del maltempo il volo "a vista" che collega Skardu a Islambad non può decollare e quindi ripercorriamo la strada già fatta all'andata con il pulmino. 9 luglio: Islamabad Alloggiamo di nuovo al mitico Holiday Inn dove la vista del suo ricco e incredibilmente gustoso buffet mi sembra un miraggio! Nella hall dell'albergo incontriamo Gnaro (Silvio Mondinelli) che alloggia nel nostro albergo. Conosce bene Martino e ci scambiamo le nostre ultime esperienze. Naturalmente le nostre al confronto con le sue fanno pena. Non mi ricordo quale 8.000 avesse appena scalato, mi ricordo solo che ha fatto il Gondogoro La da solo e in un decimo del tempo che abbiamo impiegato noi! Apprendiamo della strage di Londra, dove, tra l'altro siamo diretti il giorno seguente. Martino si reca al Ministero del Turismo per il "debrifing" e per registrare la conquista della vetta Pastore Peak. 10 luglio: Islamabad- Londra - Roma Arriviamo in Italia in tarda serata. |
AutoreSono nato a Roma, città in cui ho sempre vissuto. Forse per questo, appena ne ho la possibilità, cerco di fuggire per andarmene all'aria aperta a contatto con la natura. In montagna, ma non solo... Categorie
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August 2013
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