L'occasione di effettuare la traversata si è presentata lo scorso mese di luglio, quando con Andrea S. abbiamo passato una settimana in Val d'Aosta. La traversata può essere effettuata nei due sensi. Noi l'abbiamo effettuata da est verso ovest. Partiti la notte dal rifugio Città di Mantova abbiamo attraversato il colle del Lys e attaccato la crepacciata terminale dell'anticima poco prima dell'alba. Dopo aver attraversato il Lyskamm Orientale siamo giunti alla sella del Lyskamm (4417 m), che rappresenta il punto più basso tra le due vette. Qui occorre attraversare un tratto particolarmente affilato e pericoloso per le cornici. Purtroppo apprendiamo che pochi istanti prima due alpinisti torinesi sono caduti nel vuoto. In breve tempo arriva l'elicottero e una guida segnala con la piccozza il punto in cui i due sono caduti. Siamo profondamente colpiti ma non possiamo fare altro che affrontare la cresta e continuare il nostro percorso fino al rifugio Sella, dove arriviamo nel primo pomeriggio. Per effettuare la traversata da rifugio a rifugio abbiamo impiegato otto ore. La traversata non è particolarmente difficile dal punto di vista tecnico, infatti è classificata AD (abbastanza difficile) ma è molto insidiosa perché si svolge su cornici e creste molto affilate e non si possono commettere errori. Inoltre si effettua legati di conserva quindi in condizioni di sicurezza relative.
La prima volta che sono salito sul Monte Rosa per raggiungere la capanna Margherita a Punta Gnifetti, ero rimasto colpito dall'elegante linea di cresta dei Lyskamm. Non a caso questa traversata è tra le più famose dell'intero arco alpino. Si svolge in un ambiente grandioso e offre vedute incredibilmente ampie. L'occasione di effettuare la traversata si è presentata lo scorso mese di luglio, quando con Andrea S. abbiamo passato una settimana in Val d'Aosta. La traversata può essere effettuata nei due sensi. Noi l'abbiamo effettuata da est verso ovest. Partiti la notte dal rifugio Città di Mantova abbiamo attraversato il colle del Lys e attaccato la crepacciata terminale dell'anticima poco prima dell'alba. Dopo aver attraversato il Lyskamm Orientale siamo giunti alla sella del Lyskamm (4417 m), che rappresenta il punto più basso tra le due vette. Qui occorre attraversare un tratto particolarmente affilato e pericoloso per le cornici. Purtroppo apprendiamo che pochi istanti prima due alpinisti torinesi sono caduti nel vuoto. In breve tempo arriva l'elicottero e una guida segnala con la piccozza il punto in cui i due sono caduti. Siamo profondamente colpiti ma non possiamo fare altro che affrontare la cresta e continuare il nostro percorso fino al rifugio Sella, dove arriviamo nel primo pomeriggio. Per effettuare la traversata da rifugio a rifugio abbiamo impiegato otto ore. La traversata non è particolarmente difficile dal punto di vista tecnico, infatti è classificata AD (abbastanza difficile) ma è molto insidiosa perché si svolge su cornici e creste molto affilate e non si possono commettere errori. Inoltre si effettua legati di conserva quindi in condizioni di sicurezza relative.
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Dal piazzale dei Prati di Tivo siamo saliti per prati cosparsi di crocus, poi calzati i ramponi abbiamo imboccato il canale a sinistra del Sivitilli, la via del Canalone. A meta` canale abbiamo scelto il ramo sinistro, l`altro ramo ha una strettoia fra roccette affioranti sciisticamente scomoda. Dopo una rapida visita alla croce di vetta ed esserci goduti la spettacolare vista del Corno Grande abbiamo calzato gli sci sulla cresta della prima spalla. Per scendere abbiamo ripercorso l`itinerario di salita. La breve strettoia l'abbiamo superata procedendo a scaletta. Tutto il resto del canale era ben sciabile. Seguendo il canale di valanga siamo arrivati entusiasti a 1550m, a pochi minuti di cammino dal piazzale. Una sciata di 1.000 metri ininterrotti su neve perfetta. Abbiamo fatto un piacevole incontro con degli amici snowbordisti, scesi per il Sivitilli, con cui abbiamo condiviso parte della gita e birretta celebrativa al rientro. Il versante SE del Prena offre vari itinerari di discesa in spettacolari canaloni incassati fra guglie e torrioni. Noi abbiamo percorso un canale nella parte destra di questo versante (scendendo). In realta` volevamo percorrere un canale piu` centrale, dritto ed evidente visto dalla cima del Camicia ma l`abbiamo mancato traversando troppo a destra. Dalla strada della Miniera, raggiunta da S.Stefano aggirando la sbarra, si cammina circa un`ora verso la Fornaca, si mettono gli sci a 1850m (non si tolgono piu` fino alla cima). Si prosegue in uno dei canaloni bassi centrali verso NO fino in cresta poco a ovest del Vado di Ferruccio. Si risale sul versante N fino in cima per via normale. Dalla cima si segue brevemente la cresta verso E poi brevemente a S fino ad un colletto che si affaccia sul versante SE. Da qui si scende un breve ripido pendio poi si traversa a destra stando alti sotto cresta fino a quando si apre un evidente pendio/imbuto sulla sinistra. Si scende nell`imbuto fino a una biforcazione, noi abbiamo preso il ramo di sinistra passando un lieve dosso. Il ramo di destra e` stato percorso da un`altra comitiva. I due rami si ricongiungono in basso su pendenze moderate. Piu` in basso ci e` parso conveniente traversare a sinistra per ritornare alla strada della miniera. Bella gita, come le altre di questo versante poco frequentato con varie possibilita` di esplorare, cercare e perdersi. Facciamo base a Chamonix con una settimana a disposizione e l'idea di salire il Monte Bianco passando per la via normale Francese. Ma appena arrivati ci rendiamo conto dei problemi logistici. Il Rifugio Gouter è strapieno. Ci dicono che ci sono prenotazioni per tre mesi. Si potrebbe passare la notte nell'ingresso del rifugio, ma ha fama di non essere un posto molto pulito, a causa del mal di montagna che colpisce molti alpinisti, per il forte dislivello che occorre superare per arrivare fin li. Comunque il tempo è pessimo e il problema di salire sulla vetta del Bianco non si pone. Saliamo all'Aiguille du Midi ma non riusciamo nemmeno a scendere sul ghiacciaio sottostante. Usciti dal tunnel ci dobbiamo ritirare a causa dei fulmini che colpiscono le strutture metalliche intorno alla crestina di discesa. Il giorno dopo va un po meglio e riusciamo a scendere sul ghiacciaio. Ci dirigiamo verso il Tacul per verificare le condizioni della via dei Trois: l'altra normale francese che passa per il Tacul, il Maudit per poi arrivare alla vetta del Bianco. Ma il Tacul è molto pericoloso. I suoi seracchi sono carichi di neve e il rischio di valanghe molto alto. Lo conosco già per esserci salito due anni prima ma le condizioni allora erano decisamente migliori. Nei giorni successivi il tempo non migliora, ma ci sarebbe una finestra per giovedì 10 luglio. Mercoledì ci spostiamo sul versante italiano, al Rifugio Torino. Il giorno successivo sveglia alle 3.00 e partenza per il Dente del Gigante, una classica via alpina su roccia. Avrei preferito il ghiaccio del Bianco, ma anche salire il Dente del Gigante è una bella opportunità. Ci inerpichiamo sulla Gengiva del Dente senza problemi, ma l'attacco della via è piuttosto difficile, soprattutto per la forte esposizione. Comunque riusciamo a passare soprattutto grazie a Giampiero che attacca per primo. La via non è particolarmente difficile ma la discesa in corda doppia è stata piuttosto adrenalinica!
Nevado Alpamayo south face
A couple of years earlier I went in Valsesia in the north of Italy, to meet Donato and other friends with whom I had climbed one particular mountain in the Karakorum (see post about Trekking del Baltoro e Pastore Peak). While not considering myself a mountaineer, there I was able to achieve a complete first ascent of a mountain of 6,200 m. It was a mountain like so many others in Karakorum, without a name, but is called the Shepherd Peak today. In his beautiful home, Donato had hung a series of photos of the many mountains he had climbed including Nevado Alpamayo. I was very impressed by the beauty of this mountain and since that moment I was determined to climb and photograph it. A detail of Alpamayo french direct Not a year was passed when a friend from Chieti, a climbing guide, told me he was organizing an amazing expedition to climb the Alpamayo. I have had an experience of high altitude but I had never climbed a wall of ice 500 meters high, with slopes of 60% that in some places reaches 70%, but my desire to see and to photograph the Alpamayo was so strong it convinced me to join this group that intended to climb it! The Cordillera Blanca is a mountain range with 50 peaks over 5.700 meters which is located in the northern part of the Andes, in the Huascaran National Park. Santa Cruz valley To get to the advanced base camp of Nevado Alpamayo / Quitaraju we had to reach first the city of Huaraz, the starting point of all expeditions to the Cordillera. We then travelled by car to Cashapampa where we hiked through the beautiful valley of Santa Cruz. In order to reach an altitude of almost 6,000 meters we had to climb gradually to get used to the altitude. Overall it took 7 days to climb up to the advanced base camp. As we were ascending, we meet several mountaineers coming back without being able to reach the top because of bad weather conditions. Of course I had the same concern, but I needed good weather to take my photos! Wall of ice on the way to the advanced camp Fortunally when we start to climb to the advanced base camp, the weather miraculously improved. I have to tell you that to get to the advanced base camp is not easy. You must get beyond about the 500 meters that separate the advanced camp from the moraine camp. The path is full of deep crevasses and you have also to climb a wall of ice about 100 meters high. The nice thing is that you will probably find a fixed rope. From the camp you can enjoy an incredible view on Nevados Alpamayo, Quitaraju and Artesonraju. A view that rewards the efforts you have made so far. You need to spend a whole day at the camp to experience the amazing light it presents. The Alpamayo south west face is well lit from afternoon to evening, while the Quitaraju noth faces receives a good light in the morning, but also in the evening can be really interesting. "Here comes the sun", Nevado Quitaraju "Here Comes the Sun" was taken just before sunset. The low sun partly covered by the clouds was scattering the light, giving them a yellow-reddish color, while the rest of the north wall of the mountain was coming into the shadows. It was one of the easier photos I took because at that time temperature was not too stiff, while the shots I took in the morning of Nevado Artesonraju ("The thin red line") was very hard to take. I had to wake up at 4 AM and it was -20 ° C, The worst was having to get out from the warm sleeping bag. But I was pushed by the awareness that I had no other opportunity. The next morning we had to leave at 2 am to start the climb. To get "Here comes the sun" I tried to advance to the edge of the camp but I had to pay attention because of the invisible crevasses all around. I remember that I had tried to go as far as possible, to remove the slope visible in the left side of the image. To advance more it would have been too dangerous because the area was full of crevasses hidden by fresh snow had fallen the day before. I then placed the camera on a lightweight inexpensive tripod I brought with me, trying to plant it very well in the frozen snow. I used AEB function to be sure to have a shot definitely well exposed and reserve the possibility of an HDR, since it was a backlit. The next day we climbed that magnificent mountain. I brought with me a compact digital camera but I left the batteries in the pocket of the sleeping bag where I put them the night before to prevent discharge. Among the many things I had to take I just forgot them! Too bad! Along the way I had the opportunity to take some beautiful shots. Lost shots I'll never take again. _Tutto ha inizio una mattina d'inverno sul Sirente quando, durante un'uscita sci-alpinistica incontro Elettra che mi parla del progetto di un trekking in Pakistan lungo il ghiacciaio del Baltoro, con la possibilità di salire un 6.000m mai scalato prima. Da un po di tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto vedere il K2 e quindi dopo qualche giorno di riflessione prendo contatto con Martino Moretti di Lyskamm 4000 e mi unisco al gruppo. Martino è un veterano del K2 che ha scalato nel 1986 con una spedizione diretta da Agostino da Polenza. _16-17 giugno: Italia-Islamabad L'appuntamento con gli altri è a Londra il 16 giugno, dove un volo della British Airway ci porta diretti ad Islamabad. Arriviamo alle 6.00 locali del 17 giugno. Alloggiamo all'Holiday Inn dove abbiamo il piacere di gustare una delle migliori cucine del mondo! In giornata ci rechiamo dal boss di Hunza Travel, la nostra agenzia locale, e poi al Ministero del Turismo per ottenere i permessi necessari. _18 giugno: Islamabad-Chilas (470 km - 12h) L'agenzia ci ha messo a disposizione un pulmino con il quale ci dirigiamo verso il Kashmir, attraverso la mitica Karakoram Highway che collega la Cina con il Pakistan. Nonostante il nome la KKH non somiglia per niente un autostrada. In serata arriviamo a Chilas. E' la parte più agevole del percorso. A parte il pericolo di frane, la strada è ancora abbastanza larga, ben manutenuta e quasi sempre asfaltata. 19 giugno: Chilas - Skardu (290 km - 8h) Da Chilas a Skardu la KKH diventa decisamente più pericolosa, ma il paesaggio si fa più interessante. La strada taglia i fianchi delle montagne in fondo alle quali scorre l'Indo, costeggia il maestoso Nanga Parbat (8125 metri, che purtroppo al nostro passaggio è coperto da una densa coltre di nuvole) e passa nel punto di confluenza delle tre grandi catene montuose dell'area: Himalaya, Karakorum e Indu Kush. Skardu, la capitale del Baltistan, sorge nell'amplissima valle in cui l'Indo incrocia lo Shigar. E' una cittadina polverosa, circondata di montagne innevate, tappa obbligata per tutte le spedizione che si dirigono verso l'area del K2, ma anche per gli appassionati di minerali che abbondano nella zona. Skardu è una città multietnica popolata in gran parte da tibetani Baltì ma anche da altri gruppi etnici: Shins, Pashtun, Punjab, Hunza e Uiguri. La città è sovraffollata di bazar dove si può trovare di tutto. _20 giugno: Skardu - Askole (2800m - 7h) Proseguiamo in jeep verso Askole attraversando la valle di Shigar. Il percorso, da brivido, si svolge lungo una sterrata, tagliata su ripidissimi pendii dai quali si staccano in continuazione piccoli sassi che cadono sul tetto del fuoristrada. Il distacco di un masso più grande potrebbe farci precipitare nel Braldu, il tumultuoso fiume che scorre più in basso. Come se non bastasse, sentiamo numerose esplosioni. Ci spiegano che sono mine fatte brillare dai cercatori di minerali e di pietre preziose. Del villaggio di Askole colpiscono l'estrema povertà degli abitanti. Le abitazioni, in genere di due piani, sono costruite con pietre, fango e paglia. Il piano in basso è destinato agli animali mentre gli uomini occupano il piano superiore. Da alcuni anni un associazione italiana, dedicata all'alpinista Lorenzo Mazzoleni, ha realizzato un dispensario per offrire agli abitanti di Askole un minimo di cure mediche. _21 giugno: Askole - Jula (3200 metri - 7h) Lasciamo Askole risalendo il corso del Braldu e arriviamo a Jula 7 ore più tardi. Durante il giorno fa molto caldo, l'ambiente è quello di un deserto roccioso di alta quota. A Jula ci godiamo la vista del caratteristico Bahordas peak e del Mango Gusor. La notte è fredda ma soprattutto diventa difficile dormire a causa della quota. 22 giugno: Jula - Payù (3500 metri) Altre 7 ore di cammino costeggiando il Braldu per giungere all'oasi di Payù dove troviamo gli ultimi alberi della valle. Nel passato le spedizioni che risalivano la valle hanno utilizzato gli alberi come legna da ardere per cucinare, fino alla loro totale scomparsa. Questa pratica è stata successivamente vietata ma a quel punto gli alberi erano già del tutto scomparsi. Per cucinare oggi le spedizioni portano con se il kerosene. L'impatto dell'uomo in questi luoghi, caratterizzati da un delicatissimo equilibrio ambientale è devastante. Proprio per ridurre l'impatto antropico a Jula, Payù e Urdukas i campi sono stati attrezzati con servizi igienici, acqua corrente, lavabi e raccoglitori di rifiuti. A Payù trascorriamo una giornata di riposo per favorire l'acclimatazione. Da qui si vede molto bene il fronte del ghiacciaio del Baltoro, che inizia qualche centinaio di metri più avanti e le Cattedrali del Baltoro. Tra le guglie acuminate delle cattedrali, Martino ci indica un picco che emerge in lontananza. E' la nostra prima visione del K2. _24 giugno: Payù - Urdukas (4050 metri) (20 km 10 h) E' una lunga tappa che si svolge sul ghiacciaio detritico del Baltoro. Il campo di Urdukas sorge su un pendio erboso disseminato di enormi massi granitici. 25 giugno: Urdukas - Gore (4500 metri) (5h) Ormai siamo in alto e iniziamo a vedere montagne imponenti come il Masherbrum (7821 metri) e la Mustagh Tower (7237 metri), mentre di fronte a noi sorge la sagoma del mitico Gasherbrum IV, conquistato nel 1958 da una spedizione italiana guidata da Riccardo Cassin e che venne magistralmente descritta da Fosco Maraini nel suo romanzo "La splendida cima".Tutto bellissimo, ma sono cinque notti che non dormo! 26 giugno: Gore - Concordia (4750 metri - 5 h) Giungiamo a Concordia dopo una breve tappa di 5 ore. Da qui la vista si apre sulle catene di montagne circostanti. E' una visione di incomparabile e maestosa bellezza: il Gasherbrum IV (7980 metri), più a sinistra il gigantesco Broad Peak (8048 metri) e poi in fondo al ghiacciaio Godwin Austen, il K2 (8611 metri). Sulla destra il Golden Throne, il Chogolisa (7665 ) con le sue cime affilate in cui perse la vita il grande Herman Buhl e poi il il caratteristico Mitre Peak. In questo luogo mitico e bellissimo i segni del degrado causato dall'uomo sono evidenti. Oggi le spedizioni prestano molta attenzione a non lasciare rifiuti di nessun genere ma, nonostante ciò, siamo circondati dai rifiuti, in particolare di tipo "organico". In questo clima freddo, infatti, i processi di decomposizione sono lentissimi e i rifiuti, anche organici, necessitano di anni per essere smaltiti. 27 giugno: Concordia - Campo Khalkhal glacier (4900 metri) Il tempo si è mantenuto sempre bellissimo e al mattino ci dirigiamo verso il ghiacciaio Khalkhal dove stabiliamo il campo base per la salita al Pastore Peak (6206m). 28 giugno: Salita al Pastore Peak (6206 metri) Ci svegliamo alle 2 di notte, consumiamo una rapida colazione e ci avviamo lungo il ghiacciaio, fino alla morena di massi giganti superando la quale ci portiamo sulla linea di cresta. E' ormai giorno inoltrato quando arriviamo sul colle a quota 5.900m. Da qui ci appare uno scorcio fantastico del K2 e dell'Angelus. Ci riorganizziamo e due cordate si avviano verso la cima. Purtroppo per problemi legati all'altitudine e alla stanchezza la mia cordata si dissolve e in due riusciamo ad arrivare fino a 6.100 m. A questo punto anche l'altro compagno di cordata cede si accascia in mezzo alla neve. Anch'io sono allo stremo, nell'ultima settimana non ho dormito quasi mai, la stanchezza è tremenda. Devo decidere cosa fare. Potrei tentare di proseguire da solo, in fine dei conti mancano solo 100 m di dislivello, forse un'ora di salita. Guardo l'altra cordata che si è già avviata verso la cima. Mi trovo su una lama di ghiaccio affilata e a sinistra c'è il baratro ghiacciato, a destra un ripido scivolo di neve porta ad un enorme seracco dopo il quale c'è un salto di circa 600 m. Una scivolata sarebbe fatale. Però mi dispiace rinunciare alla vetta dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin qui. Alla fine decido di scendere verso il colle dove sono rimasti Elettra, Luisa e Valter. La delusione è tanta ma penso che sia stata la scelta più saggia. Attendiamo il ritorno dei compagni che sono riusciti a salire fino alla vetta e poi scendiamo tutti insieme. Il calore del sole ha reso la neve insidiosa, a volte sprofondiamo fino al collo, ma per fortuna riusciamo a raggiungere la morena senza problemi. Arriviamo al campo verso il tramonto, siamo distrutti. Ci prendiamo il giorno seguente per riprenderci dalla fatica. 30- Giugno- 1 luglio: Khalkhal glacier - Campo base K2 - Concordia Dopo una settimana di tempo splendido ci svegliamo sotto una forte nevicata. Dopo qualche ora le condizioni meteo migliorano leggermente e decidiamo di raggiungere il campo base del K2 come da programma. Ormai le belle giornate dei giorni precedenti sono solo un ricordo. Le mie condizioni fisiche non sono per niente buone. Sono attraversato da brividi di freddo, ho la fronte bollente. Sicuramente ho la febbre. Improvvisamente sprofondo in un crepaccio reso invisibile dalla nevicata notturna. Per fortuna è abbastanza stretto e lo zaino ferma la caduta. Arrivati al campo base siamo ospitati dalla spedizione ufficiale polacca che sta tentando di salire il K2. Martino e la responsabile polacca, anch'essa una veterana, rievocano le passate imprese sul K2. Lasciamo il Campo Base del K2 e con una lunga ed estenuante marcia facciamo ritorno verso Concordia. Siamo esausti, per niente lucidi e ci perdiamo tra le colline di ghiaccio che circondano Concordia. Dopo vari tentativi falliti che alimentano il nervosismo generale, finalmente scorgiamo i portatori che sono venuti a recuperaci. Ci prendiamo un giorno di riposo, più che meritato assolutamente necessario. Il tempo ormai è definitivamente peggiorato e dobbiamo decidere se procedere verso il passo del Gondoghoro La oppure ripetere il percorso dell'andata. Alla fine, nonostante il tempo, decidiamo di attraversare il Gondoghoro La. Nel frattempo ci ha raggiunti Ali, la guida Baltì che ci accompagnerà fino ad Hushe. 2 luglio: Concordia - Ali Camp (4600 metri) Alle 4 del mattino lasciamo Concordia e percorriamo il ghiacciaio Vigne per raggiungere Ali Camp dove arriviamo intorno alle 10. Dopo un rapido pasto consumato sotto una forte nevicata, piazziamo le tende e cerchiamo di dormire. Sotto la neve c'è tanta di quella neve fresca che si sprofonda. Praticamente mi metto a dormire dentro una buca. Sarà si e no l'una p.m. Verso sera smontiamo il campo e alle 11,30, dopo aver organizzato le cordate, iniziamo a incamminarci verso l'ampio anfiteatro glaciale che occorre attraversare per raggiungere il Gondoghoro La. 3 luglio: Ali Camp - Gondoghoro La (5650 metri) - Khispang (4500 metri) Siamo accompagnati dal Rescue Team, un gruppo di alpinisti pakistani che ha l'incarico di guidare le spedizioni attraverso il Gondoghoro La. La neve, caduta abbondante durante il giorno, e la nebbia rendono veramente difficile l'orientamento anche per il Rescue Team. Infatti vaghiamo senza meta attraverso la nebbia fino a che, le prime luci del giorno, lasciano intravedere la sagoma della montagna sulla nostra destra. Sono ormai le 4 del mattino quando iniziamo a procedere tra i seracchi. In alcuni punti alcune corde fisse rendono più sicura la salita. Quando arriviamo sul Gondoghoro La a 5.650 m sono le 6,30 e la bufera di neve imperversa. La visibilità è di qualche metro. La discesa è molto ripida e le corde fisse sono a tratti coperte dalla neve. Diverse slavine attraversano il nostro passaggio. Siamo immersi nella nebbia.I portatori, spaventati, abbandonano buona parte del bagaglio, tra cui la cucina da campo e il sacco di Donato, ma di questo ci accorgeremo solo più tardi, una volta arrivati a Khispang. Quando arriviamo al campo siamo veramente distrutti ma nonostante ciò, Martino e Donato decidono eroicamente di ritornare indietro nel tentativo di recuperare qualcosa. Torneranno diverse ore più tardi ma senza successo. Le slavine hanno ricoperto tutto. Oltre alla cucina da campo mancano alcuni sacchi a pelo e una tenda. Ci adattiamo a passare la notte con quello che abbiamo. 4 luglio: Khispang - Dalzampa (4300 metri) - Shayechu (3600 metri) Dato il persistere del cattivo tempo, affrettiamo il rientro unendo due tappe. Puntiamo a raggiungere Skardu un giorno prima del previsto. Lasciamo Khispang verso le 9,30. Nel primo tratto si scende rapidamente lungo la morena glaciale, con una stupenda vista sui ghiacciai del Masherbrum (7821 metri); poi si attraversa una splendida valle ricca di cedri, tamerici e rose canine, incrociando i sentieri che conducono ai campi base del K6 e del K7. Arriviamo al campo di Shayechu in ordine sparso tra le 16 e le 17. 5 luglio Shayechu - Hushe (3200 metri) - Skardu L'ultimo tratto di trekking segue la rive del fiume tra campi verdissimi e minuscoli villaggi fino ad arrivare ad Hushe. Qui ci rechiamo alla scuola dove lasciamo un po di materiale che abbiamo portato dall'Italia. Al dispensario lasciamo le medicine che ci sono rimaste, cercando di spiegarne l'utilizzo. Dopo la cerimonia del pagamento dei portatori, raggiungiamo Skardu con i fuoristrada che ci attendono dopo la frana che da alcuni anni isola il villaggio di Hushe. 6 luglio: Skardu
Una giornata di riposo ampiamente necessaria. Tra l'altro accuso un problema di ritenzione idrica. Ho le caviglie gonfie come quelle di un elefante. Due pasticche di Lasix e una giornata passata ad urinare risolvono il problema. 7-8 luglio: Skardu - Chilas - Islamabad A causa del maltempo il volo "a vista" che collega Skardu a Islambad non può decollare e quindi ripercorriamo la strada già fatta all'andata con il pulmino. 9 luglio: Islamabad Alloggiamo di nuovo al mitico Holiday Inn dove la vista del suo ricco e incredibilmente gustoso buffet mi sembra un miraggio! Nella hall dell'albergo incontriamo Gnaro (Silvio Mondinelli) che alloggia nel nostro albergo. Conosce bene Martino e ci scambiamo le nostre ultime esperienze. Naturalmente le nostre al confronto con le sue fanno pena. Non mi ricordo quale 8.000 avesse appena scalato, mi ricordo solo che ha fatto il Gondogoro La da solo e in un decimo del tempo che abbiamo impiegato noi! Apprendiamo della strage di Londra, dove, tra l'altro siamo diretti il giorno seguente. Martino si reca al Ministero del Turismo per il "debrifing" e per registrare la conquista della vetta Pastore Peak. 10 luglio: Islamabad- Londra - Roma Arriviamo in Italia in tarda serata. Il fiume Kali La valle del Kali Gandaki è un immenso solco scavato nella catena himalaiana che taglia a metà il Nepal, collegando il Tibet all’India. Il fiume che vi scorre impetuoso prende il nome da Kali, una delle manifestazioni più terrificanti della dea Parvati, sposa di Shiva che, con Bhrama e Vishnu è una delle tre grandi divinità dell'induismo. Il Kali è uno dei maggiori affluenti del sacro Gange e, nella regione del Mustang, separa il Daulaghiri dall’Annapurna, due cime superiori a 8000 metri. In questo punto, ad una quota di 2600 metri, con un dislivello impressionante di 5 km e mezzo, il fiume forma la gola più profonda del mondo. Il trekking di Jomson si snoda per buona parte lungo questa valle, seguendo un percorso, alla portata di tutti, che non supera mai i 3000 metri di quota, escluso il tratto che conduce ai templi di Muktinath (3900 metri). Lasciata la città di Pokhara, si percorre un primo tratto in taxi fino a Naya Pul. Il villaggio è solo un agglomerato di baracche sorto intorno alla fermata degli autobus, ma è qui che inizia il sentiero. Superato un ponte sospeso sul Modi Khola si attraversa Birethanti, la porta d’ingresso dell’Annapurna Conservation Area e si prosegue verso Ulleri. Il paesaggio è modellato dal secolare lavoro dell’uomo. A novembre, i campi strappati alla montagna con una paziente opera di terrazzamento, sono popolati dalle donne magar che raccolgono miglio e riso. Tutto si svolge secondo la tradizione. L’utilizzo di macchine è sconosciuto e ad impedirlo non sono solo ragioni di carattere economico quanto piuttosto geografico. Dalaughiri Ulleri è unita a Gorephani da un’interminabile scalinata di pietra, lunga otto ore di cammino. E’ la tappa più dura di tutto il trekking, ma la spettacolo offerto dalle splendide foreste di rododendri che rivestono la montagna ricompensa tanta fatica. Il giorno successivo, dopo un’ora di cammino, si raggiunge la cima delle Poon Hill. Qui, a circa 3000 metri di quota, si gode una vista incredibile sul Dalaughiri Himal e sull’Annapurna Himal. Le cime dell’Annapurna I, dell’Annapurna sud, del Nilgiri, del Tukuche, del Machapucchare e del Dalaughiri si risvegliano maestose nella luce radente dell’alba, ognuna con le sue storie di sfide portate dall’uomo. L’Annapurna I è stato il primo “ottomila” ad essere conquistato. Protagonisti di quell’avventura furono gli alpinisti francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal, il 3 giugno del 1950. Il Machapucchare è una montagna ritenuta sacra dalla popolazione locale e per questo è tuttora inviolata. Per rispettare queste credenze, il colonnelo Roberts nel 1957 chiese ai sui uomini di fermarsi a 50 metri dalla cima. Il Dalaughiri non è stato mai scalato dal versante sud. L’ultimo attacco portato alla montagna attraverso questa difficilissima via risale allo scorso ottobre. Protagonista lo sloveno Tomaz Humar che, dopo un’incredibile scalata solitaria di nove giorni, si è dovuto arrendere a pochi metri dalla cima. Battitura del miglio Dalle Poon Hill si raggiunge di nuovo Gorephani, per poi seguire il sentiero, che scende verso la valle del Kali Gandaki, fino a Tatopani. Qui è d’obbligo una sosta per godersi la vista del Nilgiri e rilassarsi nelle sorgenti di acqua calda situate a ridosso del fiume. Le tappe successive sono meno impegnative in quanto i dislivelli sono meno accentuati. Il sentiero s’inerpica sui pendii laterali tra un susseguirsi di magnifiche cascate, per poi ridiscendere attraversando più volte il fiume su spettacolari ponti sospesi. Interminabili carovane di asinelli condividono con i portatori l’onere di trasportare le merci nei villaggi. Il fiume Kali più a nord nel Mustang Per secoli, carovane di mercanti affaccendati a scambiare il sale del Tibet con le spezie dell’India hanno seguito questa via. Poi, una congiunzione di fattori negativi ha drasticamente ridotto i commerci nella valle. L’invasione del Tibet da parte dei cinesi nel 1959; la chiusura della frontiera tra Cina e Nepal, causata dallo stabilirsi nell’alta valle del Kali di alcune basi dei guerriglieri tibetani e, per finire, l’introduzione del sale marino indiano che rappresentava un valido rimedio contro il gozzo, malattia molto diffusa tra la popolazione. Ma, sul finire degli anni ’40, il governo nepalese inaugurò una cauta politica d’apertura, autorizzando le prime spedizioni alpinistiche e ponendo le premesse per il futuro sviluppo turistico del paese. L’alpinista inglese H. W. Tilman, il primo occidentale ad ottenere il permesso di avventurarsi tra le montagne del Nepal, contribuì non poco con i resoconti dei suoi viaggi attraverso il Langtang, l’Himal Ganesh, l’Annapurna e l’Everest, a diffondere la popolarità del trekking in questo paese. Un viaggio in Nepal era allora una vera avventura che comportava enormi difficoltà. Bisognava approntare un apparato logistico complesso, che richiedeva l’impiego di decine di portatori locali. Tilman racconta che dovette impiegarne uno, solo per trasportare il denaro necessario per la spedizione. Le rupie, allora di metallo, pesavano oltre 50 kg! In quegli anni, il Nepal era un paese pressoché sconosciuto agli occidentali. Poco si sapeva dei popoli che lo abitavano e ampie zone non erano state ancora cartografate. « [..] Della storia del Nepal non sappiamo ancora nulla» scriveva Giuseppe Tucci «[...] limitate le ricerche alla valle dove sorgono le maggiori città, tutto il resto è terra incognita». Tucci, insigne orientalista ed esploratore, fu tra i primi occidentali a condurre spedizioni per lo studio della cultura e delle religioni locali. In particolare egli intendeva rintracciare i resti della religione Bon, una forma di sciamanesimo antecedente l'introduzione del buddismo e studiare il popolo dei Malla, che dal XI al XIV secolo dominarono i vasti territori a nord dell’Himalaya. Risalendo la valle verso nord si abbandonano definitivamente i villaggi gurung e magar, popolazioni di religione induista per raggiungere Ghasa, il primo villaggio dei thakali, una popolazione dai tratti somatici tipicamente tibetani, di religione buddista. Tra Tukuche e Jomson l’aria si fa più fresca e la sera fa decisamente freddo. La rigogliosa foresta tropicale lascia il posto alle foreste di conifere fino a farsi sempre più rada per poi scomparire del tutto. Al mattino, le correnti d’aria che si incanalano tra le vette del Dalaughiri e dell’Annapurna danno origine a forti venti carichi di sabbia e polvere che sferzano la schiena. Kagbeni è situata alle porte dell’altipiano semidesertico del Mustang che congiunge il Nepal con il Tibet. Qui, tra i ciottoli trasportati dal Kali Gandaki, con un po’ di pazienza è possibile trovare i Saligram, delle pietre nere composte da carbonato di calcio, che contengono ammoniti e altre conchiglie fossili. Quelli più preziosi racchiudono una cavità formata dall’impronta della conchiglia, alla quale si è sostituita la pirite. I fossili sono di diversi tipi e, nelle credenze locali, ognuno racchiude l’emblema di una particolare divinità. Tempio di Narayan a Muktinath Da Kagbeni un ripido sentiero si inerpica lungo la dorsale che collega l’Annapurna Himal con il Damodar Himal fino al Thorung La, il passo a 5400 metri che collega i due versanti dell’Annapurna. Attraversarlo da questo lato è difficile a causa del ripido dislivello di 1500 metri, difficile da superare in un solo giorno. Da Khingar (3200 m) a Jahrkot il sentiero si snoda inaspettatamente tra prati, ruscelli e frutteti di meli e albicocchi. Il panorama offerto dal Dalaughiri e dal Nighiri è indimenticabile. Dopo circa tre ore di cammino si arriva finalmente a Ranipawa, il villaggio dove sostano i pellegrini diretti a Muktinath, un importante centro di pellegrinaggio sia per i buddisti che per gli indù. Nel mese di ottobre decine di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il subcontinente indiano attraversano la valle del Kali Gandaki per arrivare sin qui. La sacralità del luogo è accentuata dalla credenza che in esso si manifesta la congiunzione dei quattro elementi fondamentali: acqua, aria, terra e fuoco. Il tempio induista, dedicato a Narayan, un’incarnazione di Vishnu, è circondato da un muro di pietra dal quale, attraverso 108 bocche raffiguranti creature mostruose, sgorga l’acqua che i pellegrini utilizzano per le loro abluzioni. Sulla sua destra si trova il Jwala Mai, un piccolo gompa dall’aspetto un po’ malandato al cui interno alcuni getti di gas naturale alimentano il fuoco eterno di Muktinath. L’impetuoso sviluppo turistico che ha interessato il Nepal negli ultimi anni, anche se non ha intaccato il fascino di questi luoghi, ha messo in evidenza i punti critici del delicato equilibrio ambientale della valle. L’utilizzo della legna per il riscaldamento e la cucina ha causato il disboscamento di ampie zone di foresta. La necessità di fornire acqua “sicura” ai turisti si è tradotta in un indiscriminato utilizzo di acqua minerale, commercializzata in bottiglie di plastica difficili da smaltire. Eppure le alternativa non mancano. Ad esempio, utilizzare disinfettanti specifici, economici e facili da trasportare, oppure filtrare l’acqua. L’ACAP (Annapurna Conservation Area Project), ente che si occupa della gestione del parco, è molto impegnato a fronteggiare l’impatto ambientale del turismo. Lungo la valle sono stati istituiti appositi centri educativi ed informativi, rivolti sia ai nepalesi che ai turisti. Qui, tra l’altro, si promuove l’utilizzo di fonti energetiche alternative, anche perché bruciare la legna è ormai vietato in tutto il parco (ad eccezione che a Gorepani). Ma, naturalmente, non mancano i lati positivi dello sviluppo turistico. «Da quando ho iniziato la mia attività, ho abbastanza denaro per mandare i miei figli a scuola» afferma Rajendra Jwarchan, il gestore dello Yak & Lodge, una minuscola casa da tè situata nel villaggio di Kopchepani, ai piedi del Dalaughiri Himal. I bambini che si recano a scuola con le loro divise pulite, impiegando anche qualche ora di cammino, sono uno spettacolo piacevolmente ricorrente. Tra molte difficoltà, le famiglie fanno il possibile per dare un’educazione ai propri figli. E’ un segno che lascia ben sperare per il futuro. Ma per conservare la bellezza di questi luoghi e l’integrità dei popoli che vi abitano, sarà importante anche il comportamento dei turisti che sempre più numerosi vi si recano. Riferimenti bibliografici: Maurice Herzog, Annapurna : i primi 8000, Milano : Corbaccio, 1994 Le grandi avventure dell’Himalaya, Novara : Istituto Geografico De Agostini, 1983. H.W. Tilman, Himalaya del Nepal, Milano : Baldini e Castoldi, 1953. Tit. orig. Nepal Himalaya, Londra : Cambridge University Press, 1952. Giuseppe Tucci, Nepal : alla scoperta dei Malla, Roma : Newton Compton, 1977. Prima edizione Bari : Leonardo da Vinci, 1960. Tra giungle e pagode, La Spezia : Club del libro, 1982 Armington Stan, Trekking in Nepal, EDT , 1994 (Trad. it della omonima guida Lonely Planet) Tappe consigliate lungo il trek di Jomson : Pokhara - Ulleri ; Ulleri - Ghorepani ; Ghorepani - Tatopani ; Tatopani - Ghasa ; Ghasa - Tukuche ; Tukuche - Jomson ; Jomson - Kagbeni ; Kagbeni - Muktinath - Kagbeni ; Kagbeni - Jomson. Lodge e guest house consigliati: Ulleri: Superview Hotel Ghorepani: Moonlight lodge (la qualità dei lodge di Gorephani è generalmente scarsa) Tatopani: Hymalaia Hotel Ghasa: Eagle Nest Tukuche: Tukuche Guest House Jomson: Trekker’s Inn Kagbeni: Sangri’la Indirizzi web ed e-mail di agenzie nepalesi specializzate in trekking: Eco Trek : Sito web www.ecotreknepal.com E-mail [email protected] Sunrise Nepal and Sunrise Trekking (P.) Ltd.: Sito web www.netcolony.com/members/susrisenepal E-mail [email protected] (si parla italiano) Lunar treks & Expedition (P.) Ltd. E-mail[email protected] Holiday Mountin Treks & Expeditio (P.) Ltd. E-mail [email protected] |
AutoreSono nato a Roma, città in cui ho sempre vissuto. Forse per questo, appena ne ho la possibilità, cerco di fuggire per andarmene all'aria aperta a contatto con la natura. In montagna, ma non solo... Categorie
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August 2013
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