E' notte fonda sull'autostrada Roma L'Aquila e ho un appuntamento da qualche parte con altri amici. La sveglia ha suonato alle 5.00 e ora sono le 6.00. E' buio, fa molto freddo, nonostante il caffè sono ancora mezzo addormentato. Per fortuna l'auto sa dove andare perché questo percorso l'ha fatto decine di volte. Poi lentamente il cielo comincia a cambiare colore, a tingersi di un tenue rosa. Si preannuncia una bella giornata e probabilmente una bella sciata. Questo è una scena tipo che precede ogni gita. Lo scialpinismo è impegnativo sia fisicamente che psicologicamente ma ti ripaga in tanti modi. Lontani dal caos delle piste, dalle lunghe file degli impianti, dallo spettacolo desolante delle montagne deturpate ci si immerge in un ambiente naturale quasi incontaminato. Ho voluto dedicare questo primo post al Gran Sasso, la catena montuosa più facilmente raggiungibile da Roma e che offre i percorsi più spettacolari e gli ambienti più selvaggi. Quelli che seguono sono tutti percorsi da affrontare con consapevolezza e al momento opportuno, cioè quando la montagna lo permette, dotati di tutta l'attrezzatura necessaria (ARVA, pala, piccozza, ramponi, rampant, casco).Per maggiori dettagli sui percorsi vi consiglio vivamente la guida di Luca Mazzoleni "La montagna incantata". Un po di geografia Il Gran Sasso d'Italia è la catena più alta dell'Appennino. Si estende con una linea quasi orizzontale da est a ovest per circa 50 km. E' composto da due sottocatene parallele di cui la principale, quella più settentrionale ospita le cime più alte: il Monte Corvo (2623 m), Il Pizzo d'Intermesoli (2635 m), il Corno Grande, con le sue tre vette: Occidentale (2912 m), Centrale e Orientale e il Corno Piccolo (2655 m). Seguono il Monte Aquila (2495 m), il Monte Brancastello (2385 m), il Monte Infornace (2469 m), il Monte Prena (2561 m), il Monte Camicia (2564 m), il Monte Tremoggia (2331) e il Monte Siella (2000 m). Le cime principali della catena meridionale sono invece il Monte San Franco (2132 m), il Monte Jenca (2208 m), il Pizzo di Camarda (2332 m) e il Pizzo Cefalone (2533 m).Tutte queste cime offrono decine di meravigliosi itinerari scialpinistici con vari livelli di difficoltà. Monte Aquila: la Valle dell'Inferno (BSA) Da Campo Imperatore si sale verso il rifugio Duca degli Abruzzi e poi si prosegue verso NE seguendo la sottile cresta che conduce verso il Corno Grande e il Monte Aquila. La cresta lentamente si allarga fino a scomparire del tutto dal lato sx. Mantenersi sempre in prossimità del lato dx ma a distanza di sicurezza dalle cornici. In breve si giunge alla sommità del Monte Aquila. Subito dopo la cima si scende in un vasto canale posto in direzione NE, la Valle dell'Inferno appunto. Si scia con attenzione fino ad un salto roccioso. Se il salto è coperto si prosegue fino a quota 1750 m. Può essere necessario utilizzare una corda per superare la strettoia. Quando l'abbiamo percorso noi il salto era scoperto e tutta la zona era ghiacciata e abbiamo dovuto risalire lo stesso percorso di discesa. Se invece il canalino è coperto ci sono più opzioni per la risalita: la strada sterrata che risale al Vado di Corno, oppure si scende fino al rifugio D'Arcangelo (1656m) e risalendo da qui al Vado di Corno. Per maggiori dettagli vedi "La montagna incantata" di Luca Mazzoleni vol. 1 percorso n.76. E' un percorso che richiede molta attenzione per il rischio di valanghe, in discesa ma anche in tutte le opzioni di risalita. Clicca qui per scaricare la traccia gps in formato gpx del percorso Il Canale Bissolati (OSA) E' una delle discese più impegnative del Gran Sasso, da fare in tarda stagione e quando le condizioni sono quelle giuste, cosa che non capita tutti gli anni. Il canale ha una pendenza di circa 40° e inizia qualche decina di metri dalla vetta del Corno Grande che si può raggiungere sia dai Prati di Tivo che da Campo Imperatore per la Direttissima. Noi abbiamo scelto la prima opzione e dopo la discesa avevamo ancora abbastanza energie per risalire sul Primo Scrimone e da li scendere per la Val Maone fino ai prati di Tivo. Monte Prena Canali SE (OSA) L'ambiente del Monte Prena è costituto da Dolomie molto caratteristiche che formano guglie, pinnacoli e canali. Un paesaggio veramente affascinante dove prevalgono colori dal giallastro al bianco. Per raggiungerlo si segue la strada che da Barisciano sale fino a Fonte Vetica. Da qui si segue la sterrata che porta alla miniera di lignite. A quota 1716 si segue l'ampio canale detritico della Fornaca che lentamente si restringe fino a raggiungere il Vado di Ferruccio. Dal Vado si prosegue in direzione NO puntando verso un enorme sasso incastrato tra due guglie appuntite. La salita verso la cima è piuttosto ripida e può essere necessario utilizzare piccozza e ramponi. Raggiunta la vetta si torna per un breve tratto sui propri passi e si traversa un ampio declivio in direzione SE fino a raggiungere un bel canale incassato. Il canale si fa sempre più stretto e ad un certo punto si divide. Tutti e due i tratti sono sciabili. Si prosegue fino ad incrociare la traccia di salita. Clicca qui per scaricare la traccia gps del primo canale Clicca qui per scaricare la traccia gps del secondo canale. Corno Piccolo: il canale centrale (OSA) Dai Prati di Tivo si sale appunto per i prati che dovrebbero essere già cosparsi di crocus. Raggiunto il canale, quello a sx del Sivitilli, si calzano i ramponi e si prosegue in salita fino alla vetta per godere della spettacolare vista sul Corno Grande. In discesa, dopo un primo tratto non molto ripido, la pendenza cambia drasticamente (45°/50°). Ad un certo punto il canale si divide in due. E' preferibile il ramo sinistro (scendendo), l`altro ramo ha una strettoia fra roccette affioranti sciisticamente scomoda. Tutto il resto del canale è ben sciabile. Con un po di fortuna, se l'innevamento lo consente, seguendo il canale di valanga, si arriva rapidamente fino al piazzale. Clicca qui per scaricare la traccia gps in formato gpx del percorso
La Romania è attraversata dai Carpazi meridionali. Belle montagne che non raggiungono altezze molto elevate (Il Monte Moldoveanu è la cima più alta con i suoi 2544) ma che offrono la possibilità di immergersi in un ambiente naturale veramente selvaggio. Incontrare un orso qui non è una possibilità remota e infatti ci è capitato proprio nei Bucegi in prossimità del Rifugio Pestera! Purtroppo era quasi notte e non avevo con me la macchina fotografica! Il trekking è stato organizzato dal CAI di Esperia, con i cui simpaticissimi soci abbiamo passato una settimana veramente piacevole. I monti Fagaras, offrono interessanti possibilità per lo scialpinismo, in particolare per gli amanti della neve polverosa, a causa delle temperature molto rigide e della scarsa umidità. E' la prima volta che mi capita di tornare sui miei passi, ma il primo viaggio in Islanda non aveva fatto altro che aumentare il mio desiderio di conoscere meglio questo paese. Questa volta sono partito con Valerio con qualche giorno in più a disposizione e l'idea di completare il giro dell'isola, percorrendo tutta la Ring Road. In questa stagione è possibile avventurarsi nell'interno solo con mezzi speciali è quindi l'occasione giusta per visitare la costa est e il nord, che non ho visto la volta scorsa. Naturalmente speriamo anche di trovare le condizioni giuste per vedere l'aurora boreale. Iniziamo il viaggio esplorando la penisola di Reykjanes, percorrendo tutta la strada costiera ed effettuando alcune deviazioni nell'interno. Gunnuhver La costa ovest della penisola è molto frastagliata, con insenature ed alte scogliere dove vivono moltissime varietà di uccelli marini, come a Reykjanesviti. E' una zona geologicamente molto instabile, ma gli islandesi sono riusciti anche qui a sfruttare le risorse geotermiche del sottosuolo, la cui forza esplosiva è particolarmente evidente a Gunnuhver, dove si cammina letteralmente sopra un vulcano attivo. La penisola si trova proprio sulla enorme faglia che divide la placca nordamericana da quella europea e che attraversa tutta l'Islanda. In pratica la penisola è un enorme campo di lava fuoriuscita dalle tante spaccature e dai coni vulcanici molto ben visibili dappertutto. Qui a destra si vede una delle più famose e spettacolari spaccature della zona, collegata da un ponte con il quale si può comodamente passare dal continente europeo (a destra) a quello americano (a sinistra)! Krisuvik Percorrendo la costa sud di Reykjanes in direzione ovest si incontra un'altra zona geologicamente molto attiva quella di Krisuvik. Alcune passerelle consentono di aggirarsi tra diverse pozze di fango ribollente dalle tonalità bluastre. L'ultima eruzione del Krisuvik pare sia avvenuta nel 14° secolo ma, negli anni passati, la zona è stata posta sotto osservazione perché i vulcanologi avevano notato dei pericolosi rigonfiamenti del terreno accompagnati da una serie di sciami sismici. Seljalandsfoss - Estate 2011 Continuiamo lungo la costa fino a raggiungere la bella cascata di Seljalandsfoss. Purtroppo le condizioni di luce non sono delle migliori, infatti quella accanto è una foto scattata l'estate precedente. Vale comunque una sosta anche per permettere a Valerio di ammirarla. Nonostante sia la fine di Marzo, ancora pieno inverno da queste parti e il tempo non sia dei migliori, la temperatura non è particolarmente bassa. Per la notte ci fermiamo a Hvolsvoellur, un villaggio di poche case, nella guesthouse Asgardur. Coordinate N63 45.078 W20 12.677 Skogafoss - Estate 2011 La tappa successiva è ancora una magnifica cascata, Skogafoss. Quindi deviamo sulla sinistra per una breve escursione lungo il Solheimajokull, una lingua glaciale che scende dal Myrdals Jokull, la grande calotta glaciale che ricopre il temuto vulcano Katla. L'ultima eruzione del Katla risale al 1918 e dato che erutta con una cadenza variabile tra i 13 e gli 80 anni, l'eventuale nuovo fenomeno è piuttosto in ritardo e il cratere viene costantemente monitorato. Si tratta di un vulcano sub-glaciale la cui caldera, coperta da uno spesso strato di ghiaccio di circa 500 metri, ha un diametro di circa 10 km. Le eruzioni sub-glaciali creano, tra il vulcano ed il ghiaccio sovrastante, un lago sub-glaciale originato dalla fusione del ghiaccio. Se la massa di ghiaccio che ricopre il vulcano cede, l'acqua del lago viene spinta improvvisamente fuori provocando improvvise e devastanti inondazioni denominate lahar. DC3 United States Navy Per ora sembra tutto tranquillo e ne approfittiamo per cercare i resti del DC3 della US Navy che negli anni 50 effettuò un atterraggio di fortuna da queste parti. L'equipaggio riuscì a salvarsi e i resti del velivolo vennero lasciati li, lungo il Sólheimasandur, a testimoniare l'accaduto. Per raggiungere il sito, da Skogar si percorrono circa 9 Km in direzione Ovest. Si lascia la Ring Road e si prende una sterrata che costeggia uno dei torrenti che scendono dal ghiacciaio Sólheimajokull. Percorsi poco più di due chilometri con il fiume a destra, si cerca un tratto guadabile e si prosegue in direzione Est per circa quattrocento metri. Coordinate GPS DC9 63º28.423'N 019º21.745'W. Formazione di basalto colonnare a Reynisfjara Il cielo è color piombo e quando arriviamo a Vik piove. Per il maltempo non è possibile nemmeno fare una passeggiata lungo la bellissima spiaggia di Reynisfjara. Riusciamo a scattare qualche foto verso sera, quando le nuvole si diradano leggermente, lasciando intravedere la luce del sole. Passiamo la notte a Vik sperando in un miglioramento del tempo per il giorno successivo. I faraglioni di Reynisdrangar Speranze vane perché il giorno dopo il vento è talmente forte e il mare talmente in burrasca che non riusciamo nemmeno a raggiungere la spiaggetta tra gli scogli ai piedi dei faraglioni di Reynisdrangar, dove avremmo voluto scattare delle foto. Lasciamo Vik un po a malincuore per non aver potuto visitare a fondo i bellissimi dintorni della cittadina e continuiamo il nostro viaggio in direzione Est. Per fortuna il tempo inizia a migliorare. Campi di lava dopo Vik In quest'area il paesaggio è un alternarsi di sandur e di campi di lava coperti da uno spesso e morbido muschio verde. Il muschio appartiene alla famiglia delle Briofite (Bryophyta), un gruppo di piante dette pioniere. Queste piante colonizzano per prime il substrato sterile, favorendone la trasformazione e consentendo il successivo insediamento di altre specie vegetali. Quando raggiungiamo lo Skaftafell National Park il tempo è decisamente migliorato. Ci togliamo le giacche a vento e percorriamo in maglietta il sentiero che porta verso la cascata di Svartifoss. Svartifoss La cascata si raggiunge con un facile sentiero che inizia nei pressi del campeggio. E' un salto d'acqua di circa 20 metri su una parete di bellissimo basalto colonnare. Queste formazioni si creano quando il raffreddamento di una colata lavica - abbastanza spessa - avviene rapidamente. In questo caso la lava non riesce a smaltire le tensioni accumulate e inizia a fratturarsi acquisendo la caratteristica forma colonnare. La velocità di raffreddamento incide sulle dimensioni delle colonne. Maggiore è la velocità di raffreddamento, minore sarà il diametro delle colonne. Vatnajokull Proseguiamo costeggiando le lingue glaciali che scendono dal Vatnajokull. Il tempo è buono e cominciamo a sperare di poter vedere l'aurora Boreale illuminare la laguna di Jokulsarlon. Ma prima ci occupiamo della logistica: dobbiamo trovare un posto dove passare la notte, per essere liberi poi di attendere l'eventuale aurora boreale in tutta tranquillità. Troviamo un buon alloggio a Litla Hof, proprio sotto le enormi pareti di roccia del Vatnajokull . Coordinate 63º54.261'N 016º42.157'W Laguna di Jokulsarlon Arriviamo a Jokulsarlon il pomeriggio e iniziamo a girovagare lungo le sponde della laguna e poi lungo la spiaggia costellata di iceberg. A differenza dell'estate, la laguna è semi-ghiacciata e gli iceberg sono molto più compressi. Anche le loro dimensioni sono diverse. D'estate quelli piccoli si sciolgono e rimangono solo quelli più grandi, mentre adesso sono tutti attaccati gli uni agli altri. Sembra un'enorme granita. Il fenomeno è particolarmente evidente nel lato ovest della laguna. Verso le 23,00 il cielo comincia a farsi più scuro e iniziamo a vedere le prime luci dell'aurora nel cielo. Sono molto deboli e potrebbero essere scambiate per nuvole. Ma il sensore della macchina fotografica registra la classica luce verde, dovute alle emissioni di fotoni da parte degli atomi di ossigeno eccitati dal vento solare. Litla Hof Sono le due di notte quando decidiamo di tornare verso casa. Ormai le luci si sono molto affievolite. Notiamo che invece il fenomeno diventa sempre più intenso mentre torniamo verso Litla Hof, che si trova dall'altro lato della propaggine montuosa che sovrasta la laguna. Con sorpresa scopriamo che il cuore dell'aurora è proprio li, sopra la nostra casetta. Il giorno successivo ci rimettiamo in marcia seguendo la solita Ring a ridosso delle propaggini del Vatnajokull che sembrano schiacciare la strada verso il mare. Superiamo Hof rinunciando all'ideai di cercare una magnifica grotta di ghiaccio che dovrebbe trovarsi sullo Svinafellsjoekull, più o meno dietro la laguna su cui sorge Hof. Selfoss La strada segue la linea di costa, disegnando tutto il perimetro dei fiordi. Qui non ci sono ponti o tunnel sottomarini, come in Norvegia ad accorciare il percorso. A Breiddalsvik, finalmente la strada si insinua in un'antica valle glaciale e gira verso l'interno. Abbiamo percorso almeno 300 km, ma la sagoma del Vatnajokull è ancora li, alle nostre spalle. Arriviamo verso sera a Grimstadir, una fattoria che offre alloggio in una comoda casetta con collegamento wi-fi e tutto il resto. Coordinate 65º38.501'N 016º07.232'W. Il tempo è ancora buono, ma non ci sono aurore. La sterrata che porta alle cascate di Dettisoff e Selfoss è chiusa, ma riusciamo ugualmente a raggiungerle con un tragitto un po più lungo. Krafla Proseguiamo verso Myvatn con l'idea di trovare Grjótagjá cave, la grotta nella quale un celebre brigante locale amava fare il bagno. Pare che ci sia una fantastica vasca all'interno della grotta, con acqua calda naturalmente. Troviamo la grotta, ma c'è un cartello che avverte del pericolo di crolli e quindi proseguiamo rinunciamo ai nostri propositi e ci dirigiamo verso l'area geotermale di Hverir, che si trova all'interno del vulcano Krafla. Il vulcano ha una caldera di circa 10 km e una fenditura lunga 90 km . Il suo picco più alto misura 818 m e ha eruttato 29 volte. Husavik Verso sera ci spostiamo a Husavik, per organizzare un'uscita di Wale watching. Il tempo è splendido ma l'escursione in barca si rivela "estrema" per il freddo intenso. Di balene nemmeno l'ombra. Ci speravamo ma sapevamo che sarebbe stato difficile. Il momento più propizio per l'osservazione dei cetacei è l'inizio dell'Estate. Torniamo verso Myvatn e ci sistemiamo presso la guesthouse Elda, Coordinate 65º38.502'N 016º54.673'W Aurora boreale nell'area del Krafla Anche per il giorno successivo è previsto bel tempo. Completiamo il giro del lago e poi andiamo alle terme. Il bagno è tanto rilassante che per poco non sveniamo nell'acqua. Alle terme producono un caratteristico pane nero cotto nel vulcano, dal gusto decisamente dolciastro ma che si sposa con il salmone. La sera ci godiamo una nuova spettacolare serie di aurore boreali. Godafoss Il giorno dopo facciamo tappa a Godafoss, la cascata degli dei. Il nome di questa cascata deriva da una leggenda secondo la quale, nell'anno 1000, Þorgeirr Ljósvetningagoði, capo del Parlamento islandese, fece del Cristianesimo la religione ufficiale dell'Islanda. Tornando dall'Alþingi, dopo la conversione, si racconta che Þorgeirr gettò le statue degli dei pagani nella cascata, che così prese il nome di Godafoss. Hvitserkur In serata arriviamo a Hvitserkur nella penisola di Vattsness. E' un posto magnifico e selvaggio. Alloggiamo alla guesthouse Osar, che è anche una fattoria specializzata nell'allevamento di bovini e cavalli. Coordinate 65º35.948'N 020º38.966'W. Le coste di Vattsness sono molto frequentate dalle foche, che è possibile vedere facilmente anche nella spiaggia sotto la fattoria. Proseguendo verso nord si incontra un sentiero che porta verso il mare fino a Hvitserkur, uno splendido faraglione dala forma zoomorfa. Pingvallavatn Il giorno successivo visitiamo a Geysir e poi facciamo una breve sosta a Pingvellir. Ci godiamo le acque cristalline del lago per poi raggiungere di nuovo Reykjanes, da cui il giorno successivo faremo ritorno in Italia. Clicca qui per scaricare il file con i waypoints dell'Islanda, comprese le guesthouse che ho citato.
Sebbene in ritardo l'inverno è arrivato alla grande. La nevicata che venerdì 3 febbraio è scesa su Roma è paragonabile solo a quelle del 1956 e del 1985. Naturalmente la città era completamente impreparata. Rami crollati, preferibilmente su vecchie Panda, perché, come noto, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo! Traffico in tilt, automobilisti imprigionati nelle loro auto per ore nei dintorni della città. Oggi, domenica 5 febbraio, ho contato almeno un centinaio, tra auto e camion, abbandonati in mezzo alla strada lungo i primi 20 km della via Cassia. Sembra che il sindaco voglia denunciare, oltre alla Protezione Civile, anche il servizio di previsioni meteo che pare sia stato troppo sibillino. Si vede che hanno imparato da lui a scaricare le proprie responsabilità. Ieri quasi tutti i negozi erano chiusi, soprattutto quelli di generi alimentari. I supermercati aperti sono stati presi quasi d'assalto. Ed ha nevicato solo un giorno. Mi domando cosa succederebbe se nevicasse per un intera settimana, come capita in tante città europee. l cambiamenti climatici ci stanno regalando un'altro inverno incredibilmente mite. La neve era praticamente assente lungo il sentiero che conduce alla vetta del Monte Amaro. Abbiamo trovato solo qualche placca ghiacciata qua e la e un po di neve sulla cresta rocciosa che conduce alla vetta. In un inverno normale avremmo fatto una gita con gli sci, ma quest'anno le cose sembrano essersi messe male per chi pratica lo scialpinismo in Appennino. La scorsa settimana siamo riusciti a sciare un po al San Franco ma, se le cose continueranno così, sarà difficile mettere di nuovo gli sci ai piedi. La comunità di camosci del Monte Amaro gode ancora di pascoli abbondanti fin sulla vetta. In effetti, grandi e piccoli, sembrano godere di ottima salute. Alcedo Atthis (Martin pescatore) A poco più di 100 km da Roma la Laguna di Orbetello offre la possibilità di entrare facilmente in contatto con una ricca avifauna. In una bella giornata invernale ci si può trovare immersi in un atmosfera che ricorda quella di luoghi ben più esotici. Arrivato all'oasi del WWF della Giannella ho visto un Martin pescatore che se ne fregava delle ordinanze del sindaco. Purtroppo era molto lontano e con il mio tele non sono riuscito a fare di più. Spostandomi poi verso la Feniglia, mi sono imbattuto in centinaia di fantastici fenicotteri più o meno rosa... Sandur e isole Vestmann Arrivo all'aereoporto di Keflavik il 23 agosto a mezzanotte e trovo il pulmino del Bed & Brekfast Keflavik ad attendermi. Pochi minuti dopo sono in una bella e spaziosa camera con doppio letto matrimoniale, in uno dei quali crollo. Nei giorni precedenti avevo cercato di buttare giù una scaletta delle cose che avrei voluto fare e soprattutto dei posti che avrei voluto vedere. Nei miei viaggi normalmente lascio più spazio all'improvvisazione, ma questa volta il tempo è veramente poco e vorrei ottimizzare al massimo il tempo disponibile. Al mattino torno all'aeroporto per ritirare, da Geysir Car Rental, la Hyundai Tucson che ho affittato per la modica cifra di 500€ per sette giorni. Dal 24 agosto infatti inizia la stagione invernale e il prezzo scende del 50%. L'auto non è male, anzi è veramente comoda. Il mio GPS, sul quale ho installato una cartografia non navigabile dell'Islanda sembra funzionare discretamente. La prima tappa è la cascata di Skogafoss, dalla quale parte il sentiero che arriva a Pormosk. Vorrei arrivare presto per fare l'escursione in giornata e il giorno successivo arrivare a Vik. Sono ormai vicino alla meta quando, vedo il primo Sandur creato dall'Eyjafjallajokull, e decido di scattare una foto. Skogafoss Prendo macchina e cavalletto e mi accorgo di non avere la piastra rapida, per intenderci quella che collega la macchina al cavalletto. Bene, niente di strano, anche quando sono salito sull'Alpamayo, in fin dei conti, ho portato la macchina ma ho lasciato la batteria nella tasca del sacco a pelo, dove l'avevo messa la sera prima per tenerla al caldo! Per un attimo ho una sensazione di forte vuoto! Poi mi faccio una domanda: che ci faccio qui senza un treppiede? Ma è una domanda che solo un altro fotografo potrebbe capire. Decido di rifare i 150 km appena percorsi e arrivare a Reykjavik per cercare una piastra oppure comprare un nuovo treppiede. Ho già fatto dietro front, ma c'è solo un problema: non conosco la città, non so dove andare, non posso fare una ricerca su Internet! Allora chiamo Anna, le spiego la situazione... Sono quasi arrivato in città quando mi arriva il suo SMS con alcune indicazioni. E' grazie soprattutto a lei che in poco tempo riesco a trovare un negozio di attrezzatura fotografica molto fornito e per 10€ acquisto la piastra originale per il mio Manfrotto 190xprob e torno sui miei passi. Naturalmente il programma di viaggio è da rivedere e il trekking è rinviato al giorno successivo. Passo la notte al campeggio di Skogar, nei pressi della cascata di Skogafoss. Lungo il fiume Skogar Durante la notte fa molto freddo ed è anche molto umido per via della cascata. Infatti mi alzo presto e inizio a seguire il sentiero che costeggia lo Skogar diretto Porsmork. Vorrei raggiungere Fimmvoerduhals, il crinale che separa l'Eyjafjallajökull, il vulcano protagonista della spettacolare eruzione dello scorso anno e il Mirdasjokull. E' una giornata bellissima ed è molto piacevole inerpicarsi tra le colate di lava ricoperte da un soffice strato di erba, sulle quali il fiume ha scavato un percorso costellato da numerose cascate. Dopo qualche ora di cammino l'erba sparisce e il paesaggio svela il suo volto arido. Si iniziano a distinguere le due calotte glaciali, enorme quella del Mirdasjokull, anche se è solo un decimo di quella del Vatnajokull. Fimmvörðuháls Camminando velocemente, raggiungo Fimmvörðuháls in 6 ore e mi rendo conto che le indicazioni della Lonely Planet, secondo cui il percorso a/r si sarebbe potuto fare in 7 ore, sono sbagliate. Tra Skogar e Fimmvoerduhals ci sono quasi 17 km e camminando normalmente di ore ce ne vogliono 7 solo all'andata. Dato che vorrei raggiungere Vik per tempo, in modo da trovare un posto dove dormire, riscendo a Skogar praticamente di corsa, in circa 3 ore e 1/2. La spiaggia di Reynisfjara Quando arrivo a Vik, alla Gistihus Arsalir (Guesthouse Arsalir) dove ho deciso di passare la notte, nessuno mi apre e nessuno risponde al telefono. Dall'esterno sembra una casa abbandonata se non ci fosse un'auto parcheggiata davanti. Faccio un giro per il paese e ritorno più tardi. Finalmente trovo la proprietaria e prendo una stanza. L'interno è decisamente più invitante dell'esterno. Vik è una piccolissima cittadina ai piedi del Mirdasjokull. Queste calotte glaciali sono enormi come estensione ma non molto alte per cui non si ha la sensazione di essere sovrastati da un gigante. Il Mirdasjokull ricopre il Katla, uno dei vulcani più pericolosi al mondo. La sua caldera ha un diametro di 10 km ed erutta normalmente ogni 50-80 anni. Tuttavia l'ultima eruzione risale al 1918 per cui gli scienziati monitorano il vulcano con grande attenzione. Una sua eruzione sarebbe enormemente più devastante rispetto a quella recente dell' l'Eyjafjallajökull. Il Katla ha regalato a Vik la meravigliosa spiaggia nera si Reynisfjara e le scogliere di Dyrholaey, popolate da moltissimi uccelli marini e in particolare dai Puffin (Pulcinella di mare), che non sono riuscito a fotografare nemmeno da lontano. Le scogliere di Dyrholaey Trascorro l'intera giornata a Vik, perlustrando i dintorni e dopo un po inizio a sentire un dolore al ginocchio che diventa sempre più forte. Verso sera il ginocchio è completamente bloccato e cammino zoppicando vistosamente. Penso che dipenda dalla notte passata in tenda a Skogar e all'escursione di 34 km in 8 ore. Dopo essermi goduto il tramonto a Dyrholaey, parto per la laguna glaciale di Jokulsarlon. Sono all'incirca 200 km e per fortuna non ho problemi a guidare ma, se continua così, dovrò rinunciare alle escursioni a piedi che ho in programma. Icebergs nella laguna di Jokulsarlon Attraverso di notte gli amplissimi Sandur prodotti dal Vatnajokull. Fouri dall'auto è buio pesto, non ci sono villaggi, niente di niente, tutto nero. Per fortuna mi sono portato il lettore mp3 e rompo la monotonia ascoltando un po di musica. Ma non dura molto, presto le batterie si scaricano e scopro che l'adattatore usb/12v non funziona e non posso ricaricarle. Solo buio e una striscia di asfalto nero illuminato dai fari. A Jokulsarlon non c'è niente, l'unica cittadina dove potrei trovare un posto per dormire è Hofn, ma dista 75 km. E' notte, fa freddo, piove e mi fa male il ginocchio. Non penso nemmeno alla possibilità di montare la tenda, abbasso il sedile posteriore e stendo il sacco a pelo. Mi sveglio all'alba, pioviccica e non si vede molto, poi il tempo migliora leggermente e mi trascino lungo il sentiero che costeggia la laguna. E' un luogo bellissimo, anche se la luce non è delle migliori. Alcune foche si divertono a farsi trasportare dagli iceberg che sono a volte di un azzurro vivissimo. Io mi diverto a cercare delle figure tra le forme bizzarre assunte dagli iceberg. C'è un orso, un coccodrillo, un torso umano ... Verso le 9.00 l'atmosfera magica si dissolve a causa dei rumorosi battelli turistici, che spengono i magnifici riflessi che gli iceberg disegnano nell'acqua. Torno sui miei passi e raggiungo la bellissima spiaggia nera dove gli iceberg, che dalla laguna raggiungono il mare, vengono sospinti dalle onde. Dopo questa visione, decido di spostarmi verso il Parco Nazionale di Skaftafell che non è lontano. Qui avevo programmato un trekking che non sono in grado di fare e quindi mi accontento di una breve ma dolorosissima camminata verso la magnifica cascata di Svartifoss, caratterizzata da un magnifico basalto colonnare. Visto che non posso camminare ma posso guidare, mi faccio prendere dalla frenesia di vedere posti nuovi e mi dirigo verso Landmannalaugar. Svartifoss Carico due autostoppisti che lascio al bivio della F208, la strada che conduce a Landmannalaugar. Sono circa 60 km di sterrata, ma ci sono anche una ventina di guadi da attraversare. Spero che l'acqua non sia troppo alta e di non fare cazzate. In fine dei conti non ho mai guadato un fiume con la macchina. C'è una luce bellissima, bassa e dorata che illumina un paesaggio modellato dalle eruzioni vulcaniche ma ricoperto di erba e di muschi colorati. La zona è ricca di laghi e di fiumi che li alimentano. Sono le acque derivate dallo scioglimento delle lingue glaciali dell'immenso Vatnajokull. F208 verso Landmannalaugar I guadi sono molti e dopo il primo, che affronto titubante, diventano un gioco piuttosto divertente anche se rischioso. Bisogna scegliere il punto giusto dove attraversare perché il fronte del fiume a volte è molto ampio. Se si sbaglia si rischia di compromettere l'auto e di rimanere bloccati per chissà quanto tempo. Ci sono altri due fuoristrada che mi superano mentre mi fermo a fare qualche foto. Dopo non passerà più nessuno. Meglio seguire le tracce lasciate dagli altri penso, ma ci sono tracce di attraversamento in punti diversi e non tutte le macchine hanno la stessa altezza! Uno degli ultimi guadi è particolarmente profondo e l'acqua scorre sul cofano e arriva sul vetro dell'auto che però non fa una piega e comincia ad riemergere... Landmannalaugar A Landmannalaugar c'è un bel campeggio, ma decido di non montare la tenda. Meglio dormire in macchina, anche perché è molto umido e potrebbe anche piovere. C'è acqua dappertutto in mezzo alle colate di lava. C'è anche una bellissima pozza di acqua calda, dove alcune persone fanno il bagno. Un cartello avverte che l'acqua potrebbe essere infestata da un parassita urticante portato dalle anatre. A malincuore decido di non fare il bagno, beccarmi anche il parassita sarebbe troppo! Comunque il posto è bellissimo e offre splendide possibilità fotografiche, ma bisognerebbe inerpicarsi sui sentieri sconnessi attraverso le colate di lava. Ci provo, ma riesco a salire a mala pena sulla prima proprio sopra il campeggio. Il dolore è troppo forte e non riesco a fare di più. Il geyser Strokkur Visto che non posso camminare decido di continuare il giro in auto. Raggiungo la F26 che è la strada più facile per raggiungere Landmannalaugar. Non ci sono guadi ma è anche molto meno interessante dal punto di vista del paesaggio, rispetto alla F208. Dovendo rinunciare a tutte le escursioni a piedi, ho molto più tempo a disposizione del previsto, per cui decido di raggiungere la valle di Haukadalur, nel Circolo d'oro per vedere il Geysir. Il tempo è molto brutto, per la prima volta da quando sono in Islanda. Pare che il Geysir abbia perso la sua fonte naturale di energia per cui viene azionato "a mano" ogni tanto. Vedo in azione lo Strokkur, che è più piccolo ma fa lo stesso. Visto che è vicino vado a vedere anche Þingvellir, uno dei luoghi più importanti della storia islandese, in quanto nell'anno 930 vi venne fondato l'Althing, uno dei primi (se non il primo) parlamenti del mondo. C'è anche la famosa faglia dell'Almannagjá, il punto ella dorsale medioatlantica da cui si sviluppa da un lato la placca nord americana e dall'altro quella eurasiatica. Nei dintorni c'è anche la cascata di Godafoss, ma quando ci arrivo piove e le nuvole sono talmente basse che la cascata quasi non si vede. Decido di arrivare a Borganes per trascorrere la notte finalmente in un letto e da li ripartire il giorno successivo per la penisola di Snæfellsnes. Avevo rinunciato ad includere nel mio viaggio questa parte dell'Islanda, ma grazie al mio ginocchio ho due giorni in più a disposizione. La parte meridionale della penisola è caratterizzata da scogliere di basalto colonnare, mentre la parte terminale è sovrastata da vulcano Snæffels ricoperto dal ghiacciaio Snæfellsjökull. Lo Snæfellsjökull deve parte della sua fama al fatto che Jules Verne ha ambientato qui il suo "Viaggio al centro della Terra". In serata molto tarda raggiungo Grundarfioerdur, dove a malapena riesco a trovare un posto per dormire. Poco prima del villaggio c'è la famosa Kirkjufell, una montagna dalla forma molto caratteristica, circondata dal mare. L'ultimo giorno il tempo è veramente pessimo. Il mattino successivo raggiungo Reykjavík per fare whale watching, ma siamo sfortunati e vediamo qualche balena solo da lontano. Ok, è fatta, il giorno dopo prendo l'"ED FORCE ONE" e velocemente torno a casa Click to set custom HTML Visualizza Islanda in una mappa di dimensioni maggiori Qui sotto è possibile scaricare il file con i waypoints dell'Islanda, comprese le guesthouse che ho citato. Per scaricarlo cliccare col tasto destro del mouse e scegliere "Salva destinazione con nome".
Si tratta di una tecnica che permette di risolvere, limitatamente ad alcune situazioni, uno dei classici problemi che si presentano in fotografia, cioè la presenza nell'inquadratura di zone diversamente illuminate. In pratica se la gamma dinamica di una scena è molto elevata, con la presenza di zone diversamente illuminate, la pellicola, così come il sensore possono non essere in grado di rendere i dettagli in modo corretto nell'immagine prodotta. Questa capacità della pellicola o del sensore di rendere la gamma dinamica si chiama latitudine di posa. Per fare un esempio, esponendo correttamente il cielo, normalmente più illuminato, si perdono i dettagli degli oggetti in primo piano che sono meno illuminati.
Nelle foto con lunghe esposizioni, come ad esempio, nei paesaggi notturni si può ovviare a questo problema esponendo in maniera diversa il cielo, più luminoso dal paesaggio in primo, normalmente più scuro. E' una tecnica che deriva dalle manipolazioni che si facevano in camera oscura, con le quali si compensava la diversa esposizione di alcune aree del negativo. Ad esempio, se abbiamo calcolato che l'esatta esposizione del paesaggio in primo piano è di 30s, mentre il cielo necessità di soli 10s, provvedermo a mascherare con una mano coperta da un guanto nero il cielo per 20s. La mascheratura deve essere effettuata muovendo rapidamente la mano davanti all'obiettivo (senza toccarlo) per evitare che si creino aloni, per la sola zona dell'inquadratura interessata dal cielo. Più facile a farsi che a dirsi! Se vi trovate nel periodo che va da ottobre ad aprile ad una latitudine nord superiore a 63° oppure a sud (beati voi che siete in Antartide!) vi consiglio di dare un occhiata verso l'alto di notte perché, se il cielo è libero dalle nuvole, avete serie possibilità di assistere a questo meraviglioso fenomeno naturale. Non sto qui a dilungarmi sulla fisica del fenomeno, vorrei solo condividere le informazioni che ho acquisito e che ho cercato di mettere in pratica in pratica in Norvegia lo scorso anno. SCEGLIERE IL POSTO GIUSTO Aurora boreale nei dintorni di Tromsø Una foto scattata verso il cielo senza un paesaggio che gli faccia da contorno raramente risulterà gradevole, per quanto spettacolare possa essere il fenomeno dell'aurora. Forse la cosa più difficile è proprio scegliere il posto giusto e trovarsi li al momento giusto. Ma questa sembrerà un ovvietà a qualsiasi fotografo! In Norvegia, durante il giorno ci spostavamo da un posto all'altro. Io cercavo di individuare, nei pressi del luogo dove avremmo passato la notte, uno scorcio interessante. Purtroppo le cose non vanno sempre come si vorrebbe. Innanzitutto noi abbiamo trovato una situazione meteorologica pessima. Pioggia, bufere di neve e in genere cielo pesantemente coperto sono state all'ordine del giorno. In una settimana passata a Tromsø e dintorni il cielo si è aperto solo la sera in cui dovevamo prendere la nave per spostarci alle Lofoten. Stavo andando all'aereoporto a riconsegnare l'auto presa a noleggio quando ecco che il cielo si apre e intravedo dallo specchietto posteriore la tanto desiderata aurora! Mi fermo, monto la macchina rapidamente sul treppiedi, imposto i parametri di scatto che avevo in mente, finalmente scatto e l'aurora è ancora li anche se per poco. Questa sopra è l'immagine migliore che sono riuscito ad ottenere. Il file originale è sovraesposto, ma trattandosi di un RAW, ho potuto recuperare qualcosa in post produzione. Nella fretta avevo lasciato le luci dell'auto accese e i fanali posteriori hanno colorato di rosso gli alberi e la neve. Dalla neve sono riuscito a togliere la dominante rossa, ma è rimasta visibile sugli alberi. Qui le impostazioni erano 12-24mm @ 12mm 25 sec, f/4 ISO: 3200. Stamsund: il traghetto Hurtigruten per Bodo Solo alle Lofoten abbiamo avuto la possibilità di appostarci in un luogo che avevamo scelto in precedenza perché ci sembrava interessante. Anche qui abbiamo trascorso una settimana, ma solo una notte il cielo si è aperto quel tanto da permetterci di vedere l'aurora boreale. Un occasione che non potevamo lasciarci scappare. Dopo cena ci siamo trasferiti da Nusfjord alla spiaggia di Skagsanden, che avevamo notato durante il giorno per via di alcuni surfisti incuranti del gelo. Della casualità della prima occasione ho già detto e la terza è avvenuta in modo del tutto simile, proprio all'ultimo momento, pochi minuti prima di prendere la nave che ci avrebbe riportato a Bodo e di li a casa. ATTREZZATURA FOTOGRAFICA Se disponete solo di una compatta, vi consiglio di lasciar perdere e di godervi la vostra aurora senza altri pensieri. Avete infatti bisogno di una macchina fotografica che vi consenta di effettuare lunghe esposizioni con un sensore di dimensioni adeguate che produca poco rumore quando ne sfruttate la sensibilità. Naturalmente è possibile fotografare l'aurora boreale anche con una macchina analogica e molte di queste indicazioni potranno esservi utili comunque. Io ho una Canon 60D ma meglio ancora sarebbe poter disporre di una DSLR con un sensore full frame e non APS-C. Indispensabile è un buon treppiedi, che sia in grado di sostenere senza vibrazioni la macchina per parecchi secondi, anche in presenza di vento. Poi serve un obiettivo grandangolare luminoso che vi consenta di inserire nella vostra composizione, oltre a degli elementi da primo piano, anche una buona porzione di cielo. Consiglierei un grandangolo da 20 mm in giù. In norvegia disponevo di un Tokina AT-X 124 AF PRO DX f/4, un'ottima lente ma in realtà non sufficientemente luminosa per questo genere di foto. Dovrebbe essere migliore il Tokina AT-X 116 PRO DX f/2.8. Se disponete di una full frame, lo Zeiss Distagon 21mm f/2.8 ZE è forse la migliore lente in circolazione in questo momento. Altro obiettivo di grande qualità è il Nikon 14-24mm f/2.8. Volendo risparmiare invece il Samyang/Rokinon 14mm f2.8 dovrebbe fornire comunque risultati soddisfacenti. Da notare che, secondo Ken Roclwell, il Tokina AT-X 116 PRO DX f/2.8 può essere utilizzato anche su camere full frame ad una focale di 16 mm pur soffrendo di una certa perdita di nitidezza agli angoli. Molto utile è anche uno scatto remoto, in mancanza del quale, si può utilizzare la funzione di autoscatto breve di 2 secondi, di cui sono dotate tutte le reflex. FILTRI UV Una cosa importante da ricordare è togliere eventuali filtri UV dalla lente in quanto la radiazione solare produce, passando attraverso il filtro, dei cerchi concentrici che non sono molto belli da vedere. IMPOSTAZIONI DELLA FOTOCAMERA Per evitare il micromosso, come in tutte le lunghe esposizioni, è bene attivare la funzione che permette di attivare blocco dello specchio prima che venga aperto l'otturatore. Per quanto riguarda le impostazioni della fotocamera, in particolare tempo di esposizione e sensibilità, non esistono valori predefiniti in quanto le condizioni di luce possono variare a causa di diversi fattori, quali ad esempio la presenza della luna. La luminosità dell'ambiente può variare notevolmente anche per la presenza o meno della neve. Skagsanden beach Per fare un esempio, fornisco i dati EXIF di questa foto, scattata vicino Flakstad, sulla spiaggia di Skagsanden, in presenza di una luna di circa 2/4 e con un paesaggio innevato: Tokina 12-24mm @ 12mm - 15 sec, f/4 - ISO: 1600. E' chiaro che se avessi avuto a disposizione un obiettivo f/2.8, avrei potuto tirare di meno il collo al sensore e impostate gli ISO ad 800, oppure scattare ad una velocità superiore per congelare in modo più efficace il movimento dell'aurora. Quindi le impostazioni variano a seconda dell'attrezzatura a disposizione. Quella rappresentata nella foto era una situazione in cui la notte era particolarmente luminosa. Ma ci si potrebbe benissimo trovare in situazioni in cui la luminosità ambientale richiede tempi di esposizioni più lunghi o ISO più alti. In ogni caso è sconsigliabile utilizzare tempi troppo lunghi in quanto l'aurora si muove con una certa velocità per cui il risultato sarebbe quello di un alone verde indefinito non molto gradevole. La messa a fuoco va impostata su manuale e all'infinito. Il mio Tokina ha la messa a fuoco all'infinito esattamente alla fine della rotazione della ghiera, ed è facile da impostare. Questo non vale con tutte le lenti per cui è bene fare delle prove per conoscerne in anticipo il comportamento. Mi sembra quasi inutile aggiungere che è indispensabile scattare in RAW, per poter intervenire in maniera più efficace in post produzione e correggere eventuali problemi che si sono verificati in fase di scatto. |
AutoreSono nato a Roma, città in cui ho sempre vissuto. Forse per questo, appena ne ho la possibilità, cerco di fuggire per andarmene all'aria aperta a contatto con la natura. In montagna, ma non solo... Categorie
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August 2013
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